La ricreazione è finita di Dario Ferrari/ La ricreazione di una tragedia

La ricreazione è finita, di Dario Ferrari, Sellerio, 2023, finalista al Premio Mario La Cava di Bovalino 2024

Seguendo il consiglio di due miei amici mi sono letto con crescente stupore il romanzo di Dario Ferrari (1982). Già un anno fa il mio amato critico cosentino pop Antonio D’Orrico lo aveva definito ” Il più bel romanzo italiano degli ultimi tempi, che dovrebbe essere primo in classifica se ci fosse una giustizia al mondo”. E’ la storia di Marcello Gori, 31 anni (nel 2017), viareggino, fuoricorso della vita perché «un laureato in Lettere nel capitalismo neoliberista» non serve a niente. La sua generazione ha le canzoni degli 883 per bolla uterina; Gabriel Omar Batistuta, centravanti della Fiorentina, per mito calcistico e President-Arschloch, il gioco alcolico che finisce con il coma etilico, per passatempo serale. Marcello ha anche una fidanzata, Letizia, che, in controtendenza con il suo treno di vita da sfigato, è bella, ricca (suo padre si è regalato la Jaguar per il 60esimo compleanno), «centrata, solida, sana», ma è purtroppo convinta «che i testi di Fedez contengano una qualche forma di verità“.

Ho davvero ammirato lo stile leggero, l’ironia e la profondità di questo romanzo. Il contenuto, ovvero il mondo universitario con le sue beghe, mi interessa davvero poco, ma è notevole lo stile con cui Ferrari  ci racconta l’inseguimento di questo trentenne di oggi deciso a rimanere post adolescente verso un suo coetaneo vissuto negli anni Settanta che invece si è assunto la responsabilità di essere un militante sino ad arrivare alla lotta armata. Senza essere Marcello Gori chi come me ha vissuto negli anni settanta a Firenze ha incrociato varie tipologie umane in un periodo storico in cui la sinistra italiana dovette fare i conti con la follia delle BR e la cialtronaggine dei gruppi extraparlamentari di sinistra.

Cialtronaggine e follia che sono causa ed effetto e il romanzo attraverso le storie di Giorgio, Athos, Emma, Tito, Miro, dimostra con pazienza e metodo “scientifico” come si produsse e produce questa combinazione chimica. Quando “le due auto dei Ravachol si stavano sparando addosso l’una con l’altra e la sparatoria attira le forze dell’ordine in quella radura in cui non sarebbero arrivate autonomamente” il lettore non sa se ridere o piangere.

Quando facevo il preside mi accorsi, guardando gli studenti, che tutte le mode (abbigliamento, capelli) arrivavano al sud e si estremizzavano. Arrivò per esempio in Italia la moda dei pantaloni corti per gli uomini, che dunque mostravano i calzini, ma al sud li portavano sino al polpaccio. Questo libro scritto da un viareggino spiega bene come i fatti della storia in provincia arrivano già disinnescati per cui già dalla prima volta appaiono parodia e la seconda si presentano come velleità abortite. La politica non fa eccezione. 
La Brigata Ravachol che irrompe nella seconda parte del libro è infatti una banda armata tra l’epico e lo scalcagnato, una tragica pantomima della rivoluzione. Mentre nella godereccia Viareggio del romanzo il ribellismo non si prendeva sul serio, l’esatto contrario avvenne in Calabria, patria del ribellismo plebeo e di briganti. Anche i nostri gruppettari degli anni settanta sono riconducibili in quella categoria che si è imbarcata in qualcosa che è al di sopra delle proprie forze ed è capitolata come i fratelli Bandiera. Per Ferrari, a spanne, ci sono i predestinati- vincenti, i perdenti, e chi sta nel mezzo, una categoria irrisolta. Appartenendo a questi mediani, e la mia non è una confessione ma una coscienza maturata nel periodo storico più brutto della mia vita, gli anni settanta (chi l’ha detto che 20 anni è l’età più bella?), ho trovato il libro pieno di grandi verità dette mischiando il sarcasmo alla inventiva: il verosimile serve per analizzare la realtà più profonda. L’antropologo e critico francese Renè Girard, opportunamente richiamato, ha spiegato bene che

“non si desidera qualcosa perchè ci piace o ci è affine ma perchè una forza che ci è esterna e su cui non abbiamo potere ci spinge a desiderarla. Desideriamo una donna perchè piace ad un nostro amico, o perchè tutti dicono che è bella quando per noi è scialba, desideriamo un capo di abbigliamento perchè lo indossa una diva; ci piace un film perchè piace alle persone che stimiamo, un libro perchè piace al circolo al quale vogliamo appartenere, un disco perchè ci piace pensare di essere il tipo di persona al quale piace quel disco; mi innamoro di una donna perchè in lei rivedo il mondo al quale vorrei appartenere, la vita che vorrei fosse la mia”.

Per quanto mi riguarda ancora oggi mi compatisco quando ripenso che in un periodo della mia vita se un 45 giri era primo in classifica a me doveva fare schifo perchè piaceva alla maggioranza, e lo stesso valeva per i film di successo, i libri (se è best seller non è letteratura), per tutto. Per me fu giusto un periodo, per tanti altri è ancora così. Per me, che provai a leggere Il pasticciaccio di Gadda, quello che dice Tea, la  ventenne con la frangia, è oro colato:

Narcisismo:  quando voi leggete Gadda, non è che godete per quello che scrive ma godete nel pensare quanto siete fichi voi perchè siete in grado di apprezzarlo. E’ tutto un ammicco e un contro-ammicco. Lui è un genio che scrive in una maniera miracolosamente complessa e io che lo capisco sono per questo ammesso nel club dei geni. (…) Un diluvio di borghesi segaioli incomprensibili e per di più senza il genio di Gadda. Omero lo capivano tutti, Dante sembrava perfino sciatto, perchè usava il volgare, le opere di Shakespeare le andavano a vedere anche gli analfabeti, Cervantes ha scritto un best seller, Delitto e castigo usciva a puntate come un romanzo d’appendice. Poi a un certo punto hanno deciso che la letteratura doveva essere roba da intellettuali. La letteratura italiana stava tra Dante che parlava sporco perchè era incazzato e faceva politica e Petrarca che era tutto per benino, parlava aulico e stracciava il cazzo. E chiaramente ha scelto il moderato senza palle, e quindi alla fine abbiamo avuto una letteratura mediocre.

Ci sono nel romanzo frangenti in cui mi è tornato in mente il Bertinotti imitato da Corrado Guzzanti, quello che teorizzava le scissioni nella sinistra per rendersi piccoli come gli atomi e quindi invisibili.

Noi non dobbiamo essere un esercito, dobbiamo essere dei nessuno, Dobbiamo essere anonimi, invisibili, indistinguibili, dobbiamo scinderci, rimpicciolirci. Aquila non captat muscas

Oppure  suggestive distinzioni tipologiche, come Tea (la rampolla dell’alta borghesia intellettuale capitolina) e Pierpaolo (il ponderato rigore dell’uomo che si è fatto con le proprie forze). Ci sono grandi interrogativi esistenziali, qual è il momento in cui si svela l’identità definitiva dell’individuo, quando si ha la rivelazione di se stesso, della propria essenza? Ah, saperlo. E buoni propositi che  ancora osservo in giro vengono rimandati di anno in anno:

Era giunto il momento di smettere di giocare ai rivoluzionari e di cominciare a fare sul serio. La ricreazione è finita ripeteva Barabba compiacendosi di ribaltare il senso della frase di De Gaulle

Ci sono tante cose che noi abbiamo grazie a Dio oltrepassato, ma tanti altri no, tipo il cattocomunismo, il punto in cui Cristo e Marx s’incontrano: il verbo deve farsi carne, Dio abbandona la sua perfezione e scende sulla terra per farsi carne e sangue e morire sulla croce. Occorre accettare la dannazione personale in cambio della salvezza collettiva?

Ci sono le teorie pazzesche di intellettuali di sinistra che vivono in Francia, in Italia, dovunque, tipo:  l’innocenza non è che indolenza, l’innocenza è il rifiuto dei vili. La città futura nascerà da chi ha avuto il coraggio di essere colpevole, di sedere dalla parte del torto (che poi è ancora lo slogan del giornale il Manifesto).

Potrei continuare per pagine e pagine, Ferrari  spiega in maniera mirabile, partendo dal Dipartimento universitario di Italianistica dell’Università di Pisa, come funziona(va) il cervello di generazioni di spostati che volevano cambiare il mondo e gridavano “padroni, borghesi, ancora pochi mesi”, cantavano con Pietrangeli “mio caro padrone domani ti sparo” così come oggi se la prendono con il liberismo e la globalizzazione.

Volevano una società di eguali dove, come in Cina, tutti portassero la stessa giacca, volevano il poliamore delle comuni, la scomparsa del padre e dell’uomo solo al comando, del capitale e del lavoro alienato. Hanno fatto pagare tutto questo all’operaio Guido Rossa e all’improvviso molti si svegliarono. Ma anche oggi come se niente fosse si continua a spararle grosse. L’ultima che ho letto cita il noto intellettuale Forrest Gamp, “sinistra è chi sinistra fa”.