Gli anni di Tom e dei Giuseppi il trionfo della pochezza

La vecchiaia mi riporta alla mente il giorno in cui mia madre sentì sul mio giradischi la musica dei Beatles e si preoccupò per me e per questo nuovo fenomeno della musica e dei capelloni. Da Claudio Villa arrivare ai Beatles non era un passaggio agevole.

A me ora succede ogni volta che sento tutti i rapper o i cantanti di Sanremo. Mi sembrano tutti uguali e non vorrei che io rimpiangessi i Beatles come mia madre faceva con Claudio Villa. I nostri nonni non compravano i dischi, i nostri genitori non guardavano le serie tv. Come ha spiegato Guia Soncini, ormai 25 anni e una settimana fa su Hbo andò in onda la prima puntata dei “Soprano”. Quella serie ha lo stesso nucleo di “Mad Men”, di “Succession”, di “House of Cards”: c’è un protagonista intelligentissimo circondato da gente grandemente inadeguata ch’egli non può sterminare perché sono i suoi parenti, i suoi colleghi, i tizi di cui gli serve avere i voti per tenersi il potere, e quindi gli tocca arginare i danni che quella gente fa.

David Chase, il tizio che s’inventò Tony Soprano, ha detto ora in una intervista: «Non dovremmo festeggiare i venticinque anni, dovremmo fare un funerale. E non sto parlando solo dei “Soprano”». Perchè?

Perchè Chase racconta un altro mondo, un mondo in cui la tv era meno prestigiosa del cinema. Era venticinque anni fa, sembrano duecentocinquanta. Perchè sta parlando d’una tv attuale sempre più scema per gente sempre più scema, dello streaming con cui guardi dieci puntate senza ricordarti niente perché non c’è niente da ricordare, delle piattaforme che assecondano la bulimia di gente che è allo stesso tempo piena di consumi culturali e completamente priva di strumenti culturali. Sta parlando di quel che abbiamo pensato tutti vedendo gli ultimi Emmy, i premi televisivi, a “Succession”: una serie così non ce la faranno mai più, a noi quattro che la guardavamo. 

Siamo rimasti in quattro a capire la grandezza di Succession, a tanti non è piaciuta, Soncini racconta di una signora la quale ha detto sui social che  “Succession” è brutto per il seguente motivo: Il diritto societario non è una trama. Che sarebbe come dire che ’“Odissea” è un manuale sul cazzare la randa, “Macbeth”  un trattatello sull’ereditarietà nelle case regnanti e “Re Lear” una tragedia notarile che parlava d’asse ereditario.

Che tv ormai puoi mai fare – ma pure che cinema, che romanzi – in un secolo in cui le adulte istruite (pensa le altre) guardano “Succession” e pensano parli di diritto societario? “Magari forse hanno ragione quelli che dicono che siamo, noi vegliardi che ci lamentiamo in questo secolo, come i nostri nonni che pensavano quei capelloni dei Beatles fossero l’inizio della fine”.

Lunedì sera l’ultimo erede dei “Soprano”, “Succession”, ha vinto tutti gli Emmy che doveva, tra cui quello per Tom. Matthew Macfayden, inglese come l’autore della serie, è salito sul palco a ringraziare per il premio all’interpretazione del personaggio più intriso di spirito del tempo che ci fosse, il mediocre arrampicatore del Minnesota che sposa la figlia del patriarca, è servile coi forti, disprezzato dai nati ricchi e persino dagli arricchiti nordeuropei, e alla fine sbaraglia tutti nonostante non abbia alcuna qualità: non come il Gatsby fattosi da sé del nuovo secolo, ma come trionfo della pochezza. Otto giorni prima, prendendo il Globe per lo stesso ruolo, Macfayden aveva detto «Rendiamoci conto: Tom Wambsgans, amministratore delegato».

L’ultima puntata di “Succession” è andata in onda lo scorso maggio, e abbiamo tutti, noi adulti alfabetizzati, passato settimane a cercare di renderci conto di come fosse possibile che finisca col trionfo del genero servile. È stato forse l’ultimo momento in cui la tv è stata più intelligente di noi, e ci abbiamo messo un po’ a metterci in pari.

Ci abbiamo messo settimane a capire che Jesse Armstrong, lo show runner, la sapeva più lunga di noi. Ora dire «è l’anno dei Tom», è diventata la frase in codice che indica il primato della mediocrità, il «signora mia» d’una generazione graziata dagli ultimi lampi d’un mondo in cui si potevano raccontare cose d’una qualche complessità.

E adesso? Eh, adesso non lo so. In Italia, per esempio, pochissimi abbiamo capito, essendo pochi quelli a cui è piaciuto Succession, che Tom, il genero servile, è la copia conforme di Giuseppi Conte, la quasità che ha fatto il presidente del Consiglio due volte, e infine ha fatto cadere Draghi, per poter far vincere la Meloni. Cosa si fa, quando finisce tutto? Si diventa il vecchio brontolone che non capisce di cosa parlino questi giovinastri perché sta rileggendo Proust? Oppure, in una botta d’ottimismo, si spera che l’ultimo e più importante premio a Macfayden segni davvero la fine dell’anno dei Tom?