“Le parole di equidistanza di Conte su Biden e Trump? Beh, è la dimostrazione che il leader del M5s non ha ancora sciolto dei nodi su come collocarsi nel campo progressista”. Giuseppe, detto Peppe, Provenzano è il responsabile esteri del Pd. Il deputato non è rimasto sorpreso dalle parole del capo del M5s pronunciate domenica nel salotto di Fabio Fazio. Semmai ha avuto ulteriori conferme.
L’ex premier ha detto testuale: “I due approcci ideologici sono completamente diversi, uno ovviamente potrebbe essere più vicino alla sfera progressista e l’altro no. Però per esempio sulla guerra potrebbero invertirsi le cose, quindi non ha senso che mi metta a fare il tifo per l’uno o per l’altro”. Un’equidistanza, o voluta ambiguità, che fa parte dello studiato amletismo contiano in politica estera.
Accadde così anche per le elezioni in Francia nel 2022. Sempre in tv, questa volta da Lilli Gruber. “Tra Macron e Le Pen? Non posso dare indicazioni di voto, rappresento un partito italiano. Le Pen è lontana da noi, ma le questioni che pone…”. Finì con una mezza baruffa in studio, ma insomma alla fine il leader del M5s riuscì a non schierarsi. Come oggi, anche allora nel Pd misero su bronci seguiti da teste scosse in aria. Ma non cambiò un’acca. Anche davanti alle punzecchiature che arrivarono, ed eccole ancora una volta puntuali, da Calenda e Renzi, pronti a denunciare il sovranismo di ritorno dei grillini populisti. “Secondo me ha dato una risposta impapocchiata”, dice Nicola Fratoianni di Sinistra italiana.
Dunque il premier che su Nove non si schiera e anzi ribadisce che “fa gli interessi dell’Italia” restituisce subito un “effetto Giuseppi” déjà vu. Con una netta continuità fra il vecchio e il nuovo M5s che in politica estera è stato tutto e il contrario di tutto. Lo dimostrano, in Europa, le difficoltà dei grillini ad accasarsi all’interno di una famiglia come quella dei Verdi. Philippe Lamberts, copresidente del cartello ecologista in Ue, da mesi ribadisce che ci sono “problemi di visione geopolitica” con i pentastellati: la guerra in Ucraina, per esempio. “Se si guarda alle posizioni che i Verdi difendono in Europa e quelle che il M5s difende in Italia, si può vedere bene quali sono i punti di convergenza o divergenza. Non serve un dottorato in scienze politiche per capirlo: guardate alla geopolitica e lo capirete”, ha detto un paio di mesi fa il leader Verde. La trattativa è bloccata, la porta è sbarrata. Sicché senza casa in Europa e abbastanza ondivago sulle vicende Usa, Conte prova a surfare sulle onde nel nome della mezza porzione. O se vogliamo del cuore gitano. Ma anche del passaporto.
Elly Schlein, che un po’ lo soffre e un po’ vorrebbe scavalcarlo nel derby con Giorgia Meloni, fa trapelare di essere “sorpresa per questa incertezza fra Biden e Trump”. E dopo il no dell’avvocato del popolo (appellativo che gusta ancora al diretto interessato) a una manifestazione sotto la sede della Rai rimane di nuovo senza alleato al proprio fianco.
Il no al Mes, il trumpismo più o meno ostentato o soffocato, la contrarietà all’intervento militare in Ucraina: sono tutti i punti in comune che legano Matteo Salvini a Giuseppe Conte, vicepremier e premier nel governo gialloverde, quello del famigerato cambiamento. “Un esecutivo tra i più rivoluzionari che l’Italia abbia mai avuto”, ha rimarcato il capo del M5s durante un’intervista a Milano sabato scorso.
Siccome, come si diceva, il M5s ormai è diventato un partito abbastanza personale trovare parole critiche nei confronti del leader è complicato.
E così, coperto internamente e consapevole di essere centrale per l’alleanza con il Pd (a partire dalle regionali) con la sapienza di calcolare mosse e reazioni il capo del M5s continua a zigzagare. Come si sa, d’altronde, nel suo salotto affisse sopra il camino ha già le teste dei segretari del Pd che seguendolo hanno fatto una finaccia: Nicola Zingaretti ed Enrico Letta, per ora. Ma è sicuro che ci sia ancora spazio su quella parete.