La scommessa del Partito democratico di Pier Luigi Bersani fu quella di romanizzare i barbari, cioè di fare del Movimento cinque stelle di Beppe Grillo e Roberto Casaleggio una formazione compatibile con i valori e le politiche della sinistra. A più di dieci anni di distanza la scommessa risulta perduta. Il Movimento che non era di destra né di sinistra, nel corso del tempo è peggiorato: sotto la guida di Giuseppe Conte è diventato definitivamente un coerente partito di destra. Una destra certamente particolare, più simile alla Lega – vecchia compagna d’avventure – che a Fratelli d’Italia, capace di amalgamare antipolitica, inclinazione assistenzialista e agnosticismo sui grandi valori con tendenze a preferire le politiche reazionarie e antidemocratiche, da Donald Trump a Vladimir Putin.
Un’ottima carrellata di tutte queste caratteristiche antiprogressiste l’ha passata in rassegna il professor Carlo Galli su Repubblica che ha aggiornato le ragioni per le quali oggi Pd e M5s sono «distinte e distanti», formula che appare tuttavia persino blanda rispetto al reale spostamento a destra del partito di Conte. Galli, a suo tempo molto sensibile alle posizioni di Bersani, termina infatti affermando che solo un’alleanza non improvvisata tra i due partiti potrebbe bloccare l’ascesa definitiva della destra: una conclusione che contrasta, ci pare, con tutto ciò che aveva detto prima circa la natura del Movimento (e, aggiungiamo noi, del suo leader ormai diventato un padrone che conduce le sue truppe senza regole democratiche).
Paradossalmente l’uomo più ambiguo della scena politica italiana sta facendo chiarezza. Il partito di Conte è di destra sulla politica estera, con posizioni vicini a quelle della Lega sull’Ucraina e sulle elezioni americane giacché evitare di appoggiare Biden significa automaticamente collocarsi a destra. Quanto alla politica economica, l’avvocato del popolo conferma di porsi come l’erede di Achille Lauro, l’armatore napoletano che dava agli elettori la scarpa destra prima del voto con la promessa di dare quella sinistra dopo: la candidatura al Sud di Pasquale Tridico, l’inventore del reddito di cittadinanza, è l’emblema di una precisa linea politica.
Come ha scritto Gianni Del Vecchio su HuffPost, «per prendere voti nel Mezzogiorno devi promettere soldi a pioggia. Non investimenti o incentivi per chi fa impresa, si badi bene: meglio valigette di banconote gettate dall’elicottero, in volo sulle periferie più disagiate delle province del Sud». L’operazione è sfacciata. Evocando la promessa di soldi dietro la faccia del progressista Tridico, l’avvocato si appresta a stracciare il Pd laddove è peraltro già più debole, in quel Mezzogiorno che la gestione Schlein ha totalmente dimenticato. La somma di pacifismo imbelle, sostanzialmente affine al trumpismo di ritorno, con l’assistenzialismo clientelare rappresenta il cuore della linea di un Conte che già s’immagina sfidante di Giorgia Meloni alle politiche. Con ogni evidenza, è oggettivamente un avversario di Elly Schlein.
Ora, come può il Pd allearsi con un simile partito di destra? Infatti per il momento non ci riesce. Questa alleanza non funziona. Non esiste nel Paese, nei quartieri, nei posti di lavoro, ma neanche nei convegni, nei giornali, in Europa, nelle organizzazioni di massa: nella coscienza profonda di quella parte dell’Italia che pure vorrebbe un’alternativa.
L’alleanza strategica già bettiniana si saldò quasi per caso, con il governo Conte 2, ma fu incerta e niente affatto strategica, giusto un gioco di Palazzo senza nervi e anima, idee e sangue. Solo in un caso potrebbe esserci l’intesa tra Pd e Conte: se il Pd diventasse completamente e irreversibilmente un partito populista, senza grandi idee, caciarone e demagogico. Allora sì sarebbero non solo alleabili ma indistinguibili. Ma quello non sarebbe più il Pd di Walter Veltroni, Paolo Gentiloni, Matteo Renzi, Pierluigi Castagnetti, David Sassoli. Sarebbe il Pd della Ditta che fu, cioè la sua parodia. È questo quello che vuole Elly Schlein?