Il victim blaming, cioè la colpevolizzazione della vittima, non si verifica solo all’interno della coppia e tra le mura della famiglia, ma a volte anche nell’ambiente di lavoro, o comunque nella società: non è più il responsabile delle violenze ad essere biasimato, ma chi ha subito i soprusi.
Ciascuno di noi è stato o si è sentito vittima in tanti frangenti della vita. In qualsiasi luogo o ambiente questo sia successo, ciascuno di noi (perciò siamo tutti rimuginanti) ha sperimentato su di sè un’ accusa specifica:
Te la sei andata a cercare.
Quello che si imputa sempre ad una donna vittima di una violenza sessuale (perchè correvi nel parco? perchè portavi la minigonna? perchè sei stata in discoteca? perchè hai accettato un passaggio? perchè te lo sei sposato?) è ormai un modo di pensare, un criterio per orientarsi in qualsiasi situazione, anzi, di più, un postulato politico. Anche gli ebrei se la sono cercata, “perchè non sono come noi” o come diceva Lacan ” perchè non sono dei gentili”. Anche i ricchi, se vengono derubati, sequestrati, ricattati, in fondo è colpa loro, se non fossero stati così ricchi. Un povero cristo viene malmenato in caserma sino a morirne? Beh, se non finiva in caserma non gli capitava. Questi esempi dimostrano l’applicazione diffusa di un principio che ci consente di commentare qualsiasi atto efferato, e che in politica è pienamente operante per qualsiasi vittima, qualsiasi dissidente e minoranza. Se la sono cercata.
Incolpare le vittime per la situazione in cui si trovano è un modo semplice per affrontare situazioni difficili. Consente, ad esempio, di ignorare il problema in quanto è responsabilità della vittima trovare il modo di risolverlo o imparare a conviverci. Spesso succede che noi ci aspettiamo solidarietà quando ingiustamente veniamo accusati di cose che non abbiamo commesso. Ma i familiari, gli amici, i conoscenti, insomma tutti, invece di incoraggiarci a resistere, ci biasimano, dicendo una sola cosa: però pure tu…te la sei andata a cercare.
Qualsiasi ingiustizia delle quali siamo vittime in qualsivoglia contesto viene affrontata secondo un criterio di buon senso ormai astratto che appartiene a noi tutti come l’aria che respiriamo. Qualsiasi vittima, da Pasolini a Peppino Impastato, da Adelchi Argada a Falcone e a Pantani, suvvia se la sono cercata. Finanche il povero barbone che dormendo ai bordi di una strada viene torturato da giovinastri per puro istinto criminale, induce un riflesso condizionato: se l’è cercata, se non era un barbone e dormiva a casa sua nel suo letto, non gli succedeva.
La cosa più crudele di tutte sta nella circostanza che venerabili maestri della politica e del giornalismo, quelli che – lo specifico- hanno inneggiato tutta la vita alla Resistenza, alla Libertà, alla Costituzione nata dalla Resistenza, analizzano le guerre di oggi con un profluvio di argomenti e parole che facilmente possono essere sintetizzati in: suvvia, gli aggrediti se la sono cercata.