Il 25 marzo l’Istat (in “Statistiche today”) ha messo a disposizione – seppur in via provvisoria e come prima anticipazione – un breve resoconto della povertà in Italia (anno 2023), che recepisce l’impegnativo lavoro di revisione e aggiornamento delle metodologie di stima recentemente svolto da una apposita Commissione di studio. Da questi primi dati si rileva che circa una famiglia ogni dodici è oggigiorno sotto la soglia di povertà e i relativi membri rappresentano poco meno di un decimo della popolazione totale. In termini assoluti, nel 2023 sono 2,2 milioni le unità familiari in condizione di povertà – intesa come mancanza di risorse adeguate a garantire uno standard di vita minimamente accettabile e a evitare gravi forme di esclusione sociale – e a esse fanno capo 5,7 milioni di residenti. A livello di tendenza il dato del 2023 sembra indicare una situazione di sostanziale stabilità. Dopo il balzo compiuto nell’anno della pandemia – quando la povertà assoluta segnò un aumento di oltre un punto percentuale (per altro smentendo l’illusoria discesa registrata l’anno precedente) – la crescita si è via via attenuata, tanto che nel passaggio dal 2022 al 2023 ci si è limitati a +0,1 e +0,2 punti percentuali di incidenza per individui e famiglie, rispettivamente. Complessivamente nel 2023 si contano 48 mila famiglie e 78 mila persone povere in più, rispetto al dato del 2022, che però segnava una crescita quattro volte superiore: +166 mila per le famiglie e + 357 mila per gli individui.
Dietro al modesto aumento registrato nel 2023 non manca tuttavia, allorché ci si addentra nel dettaglio territoriale, qualche elemento di interessante singolarità. La crescita delle famiglie povere è infatti localizzata nell’Italia del Nord (+66 mila) e del Centro (+23 mila), mentre nel Mezzogiorno si registra una variazione di segno opposto (-40 mila). Analoga contrapposizione si ripropone per la variazione degli individui che vivono in condizione di povertà assoluta: +136 mila al Nord e +55 mila unità al Centro, a fronte di -113 mila per il Mezzogiorno. A testimonianza di un’interessante inversione di tendenza proprio in quella che è da sempre (e resta tuttora) la realtà territoriale più esposta al fenomeno. Rispetto alle caratteristiche che accompagnano lo stato di povertà assoluta, le nuove stime Istat del 2023 confermano la penalizzazione per alcune strutture familiari, a conferma di un quadro di disuguaglianze cui da tempo ci siamo assuefatti. Il 20,1% delle famiglie più numerose (quelle con almeno 5 componenti, spesso con più figli) risultano povere, in decisa contrapposizione rispetto a quelle con due soli componenti (in molti casi coppie), nel cui ambito la percentuale è ridotta a meno di un terzo (6,1%).
Non a caso la presenza di minori agisce da elemento penalizzante. Tra le famiglie in cui essi sono presenti l’incidenza della povertà sale al 12% (circa 3-4 punti percentuali sopra la media), mentre un effetto di tipo opposto si riscontra là dove vi sia una presenza di anziani (poco più di 2 punti percentuali sotto la media). Riguardo ai minori va altresì sottolineato come la loro quota in condizioni di povertà abbia raggiunto nel 2023 il valore più alto dell’ultimo decennio (14%), arrivando a coinvolgere 1,3 milioni di bambini e ragazzi. Anche i giovani adulti (18-34enni) rientrano tra le componenti entro cui la povertà ricorre in misura superiore alla media (11,9%), mentre la componente degli over 65 è quella che si distingue per la minore incidenza (6,2%). Va infine segnalato l’effetto discriminante esercitato dalla cittadinanza. Solo il 6,4% delle famiglie composte italiani risultano povere (a conferma del dato del 2022); per le famiglie di soli stranieri la quota è del 35,6% (in crescita di 2,4 punti percentuali) ed è del 30,8% (+1,9 punti) nel caso di famiglie miste. Minori, giovani e immigrati: tre componenti in prima linea. Ma il fatto che siano proprio quelle che stanno alla base del tanto auspicato (e necessario) apporto di capitale umano, non dovrebbero indurci a riflettere?