Vota Antonio/Ospedale di Lamezia Terme: Venti anni di lotte (e di beffe)

Il decreto n° 69 del 14 marzo scorso del commissario ad acta della sanità calabrese, Roberto Occhiuto, è solo l’ultimo documento di riorganizzazione (e non solo) della rete ospedaliera che penalizza l’ospedale di Lamezia Terme.
Del resto che l’ospedale di Lamezia, prima denominato “Ferrantazzo” in nome della località dove è sorto e poi intitolato a Giovanni Paolo II (probabilmente la più grande struttura ospedaliera calabrese posta in una area baricentrica con a pochi chilometri l’aeroporto più importante della Calabria, lo snodo autostradale e la stazione ferroviaria centrale più trafficata della regione), sia penalizzato dall’ultimo decreto sulla sanità, è lo stesso sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro (fresco esponente di Forza Italia, partito di cui Occhiuto è vicesegretario nazionale) ad ammetterlo.

Le criticità della riorganizzazione della rete ospedaliera
«La riorganizzazione della rete ospedaliera – spiega Mascaro – prevede l’integrazione del decreto del commissario ad acta 64/2016. Interessa quindi anche il presidio di Lamezia quale struttura spoke dell’area centro. Attualmente il decreto è in via di ulteriore approfondimento alla luce di alcuni rilievi mossi. Per quanto concerne il nostro presidio, pur prevedendosi aumento posti letto e mantenimento di 16 strutture complesse e di 7 strutture semplici, vi sono – ammette, dunque, il sindaco – evidenti criticità per alcune aree. Ad esempio la materno-infantile e la medicina diagnostica e servizi. Su dette criticità e su svariati altri aspetti vi è ovviamente un approfondimento in corso».

E le polemiche, proteste, dibattiti, nascita di comitati (l’ultimo nato nel dibattito pubblico di giovedì scorso) e quant’altro di questi giorni non sono altro che un déjà vu. Le “battaglie” sul nosocomio lametino da 20 anni a questa parte non si contano più. Dal ridimensionamento del centro trasfusionale (dove fin dal 1996 si raccoglieva sangue per tutta la regione) alle chiusure di numerosi reparti.

Lotte e beffe per l’ospedale di Lamezia: la soppressione dell’Asl
Ma una circostanza “storica” per il depotenziamento dell’ospedale di Lamezia è quella della primavera del 2007. In quella circostanza la Regione decise di accorpare le Asl, costituendone cinque, una per ogni provincia. La conseguenza fu che l’Asl 6 di Lamezia fu soppressa.
La soppressione dell’Asl fece sfumare importanti servizi per l’ospedale di Lamezia. Servizi conquistati fin dalla nascita del vecchio ospedale civile di Colle Sant’Antonio, realizzato negli anni ‘60 (gestito dall’allora comitato Usl). Poi alla fine degli anni ‘90 trasferito all’attuale struttura secondo l’allora Piano sanitario locale per il triennio 95/97 in attuazione del Piano sanitario regionale, con cui venne aperto il Centro di rianimazione del Presidio Ospedaliero di Lamezia Terme, si concretizzò il trasferimento al nuovo ospedale di Ferrantazzo (ora Giovanni Paolo II) degli Uffici amministrativi, si avviò il completamento del nuovo ospedale, realizzazione dei nuovi uffici amministrativi, istituzione della rianimazione a Lamezia, dialisi a Soveria Mannelli, neurogenetica, oncologia, microbiologia, elisoccorso e altri servizi che portarono la firma dall’allora direttore dell’ex Asl, il compianto Giuseppe Maione.

La soppressione dell’Asl 6 di Lamezia fu una beffa delle beffe perché a proporre il noto emendamento al Consiglio regionale, oltre che Nicola Adamo, fu anche il consigliere regionale lametino Leopoldo Chieffallo (l’emendamento ebbe il voto favorevole anche di Egidio Chiarella, altro consigliere regionale lametino). E nella Giunta regionale guidata da Agazio Loiero, l’assessore alla sanità era Doris Lo Moro, già sindaco di Lamezia, più volte “costretta” a difendersi per quel provvedimento ripetendo spesso di averlo subito (poco dopo Lo Moro si dimise da assessore regionale) e che solo la notte prima del voto in Consiglio regionale Loiero l’avvertì. Migliaia di lametini scesero in piazza, consigli comunali continui e nascita di comitati, a difesa della sanità lametina, non bastarono.

Il Trauma Center
Così come non bastò il Piano regionale per la salute 2004-2006 e la proposta di piano 2007-2009 che aveva previsto l’attivazione di un Trauma Center regionale da allocare nell’ospedale di Lamezia Terme. Struttura però rimasta sulla carta nonostante la previsione nel piano regionale della salute, si disse che ormai era superata. Ma ora il Trauma center è tornato d’attualità visto che la realizzazione è prevista non più a Lamezia ma all’azienda ospedaliera universitaria unica “Dulbecco”, dove ci sarà anche un Centro Traumi di alta Specializzazione e una sola struttura di Unità spinale, come da standard ministeriali. Questo, infatti, prevede il decreto del commissario della sanità calabrese, Occhiuto.

Un’altra beffa, insomma, per la sanità lametina dal momento che la Regione Calabria aveva anche messo a disposizione i fondi con la delibera di Giunta n. 669 del 5 ottobre 2006 che aveva previsto, in particolare, per l’ospedale di Lamezia Terme un finanziamento di 13 milioni 850mila euro destinato al Trauma Center negato, nel 2015, dall’allora commissario ad acta, Massimo Scura, mentre la programmazione dei fondi di cui all’articolo 20 del piano rientrava nelle competenze della Giunta regionale, che non aveva mai modificato gli obiettivi della delibera sopra citata. Anche il decreto 106 di novembre 2011 dell’allora commissario alla sanità, Scopelliti, aveva previsto la sua istituzione, assieme all’istituzione dell’unità spinale e del centro grandi ustionati che prima gli ex assessori regionali Gianfranco Luzzo e poi Doris Lo Moro avevano previsto di istituire e collocare a Lamezia con i piani sanitari regionali dell’epoca.

I tagli di Scopelliti e Scura
Si arriva poi al decreto del 2011 dell’allora governatore Scopelliti che cancellava altri reparti e servizi, nonostante all’epoca il presidente del Consiglio regionale fosse il lametino Francesco Talarico. Poi è stata la volta del decreto 64/2016 dell’allora commissario ad acta, Massimo Scura, che privò l’ospedale di Lamezia dei reparti di Malattie infettive e Microbiologia, con riduzioni di varie specialità come Otorino, Oculistica, Neurologia e la chiusura anche della Terapia intensiva neonatale che era un’eccellenza. Contro il decreto Scura 10.000 lametini e tutti i sindaci del comprensorio scesero in piazza con una grande manifestazione che si concluse davanti il Giovanni Paolo II, con la nascita di altri comitati come il Coordinamento “Sanità 19 marzo 2016” e “Salviamo la sanità del lametino” che, insieme alla sezione lametina del Tribunale per i diritti del malato, raccolsero 25mila firme.

La tentata fusione con l’azienda ospedaliera Pugliese-Ciaccio
Dal 2016 si invocò, proprio per non depotenziare l’ospedale, l’inserimento anche dell’ospedale di Lamezia nella fusione con l’Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” e “Azienda ospedaliera “Mater Domini”, da cui è nata l’azienda “Dulbecco”. Ma da questa fusione è rimasto fuori l’ospedale di Lamezia, in un primo momento inserito, con voto all’unanimità in Consiglio regionale, grazie alla proposta dell’allora consigliere regionale lametino Tonino Scalzo. Era maggio 2018 quando fu presentata la proposta progettuale (poi presentata in Consiglio regionale da Scalzo e approvata all’unanimità) portata avanti dalle associazioni “Salviamo la sanità nel lametino”, Cittadinanza attiva, “Comitato malati cronici del lametino” di inserire (con l’ausilio anche delle 25mila firme) l’ospedale “Giovanni Paolo II” di Lamezia nell’azienda ospedaliera unica dell’area centrale della Calabria con ruoli ben definiti del nosocomio lametino.

La riforma proposta da Tallini
Ma ecco un’altra beffa. Nella primavera del 2020 (in piena pandemia da covid 19) la proposta di Scalzo fu cancellata non appena si insediò la nuova consiliatura regionale. Su proposta dell’allora presidente Mimmo Tallini, il Consiglio votò una nuova versione dell’azienda “Dulbecco” escludendo, a notte fonda, l’ospedale di Lamezia Terme. Tallini, infatti, presentò una proposta di legge per l’integrazione, modificando il testo elaborato dai tavoli risalenti all’era Oliverio (quella in cui era inserito anche l’ospedale di Lamezia su proposta di Scalzo).

La proposta Tallini fu approvata a maggioranza con l’esclusione di Lamezia, e poi presentata in pompa magna al Comune di Catanzaro, con l’allora sindaco Abramo. Poi il corpo normativo approdò all’attenzione della Corte Costituzionale e rimandata al mittente: era marzo 2021. La legge, presentata nuovamente in aula dall’attuale presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso (Lega), viene approvata. Sancendo così la fusione degli ospedali Pugliese-Ciaccio e dell’Azienda ospedaliero universitaria “Mater Domini” con esclusione, quindi, del presidio di Lamezia.

Un “colpo di grazia” insomma per l’ospedale di Lamezia anche per i posti letto, per come rileva Nicolino Panedigrano del comitato “Salviamo la sanità del lametino”. Il decreto Occhiuto prevede che dei 1.007 posti letto indicati sulla carta, ben 314 sono assegnati all’Azienda Ospedaliera di Cosenza ed altri 149 alla Dulbecco che già ne aveva 716. Cosicché Cosenza ora si attrezza per la nuova Facoltà di Medicina, ma Catanzaro con i suoi 85.000 abitanti (il 4,5% della popolazione della Calabria) avrà nella sua azienda unica ospedaliera il 18,3% dei posti letto dell’intera Regione. Mentre Lamezia, 71mila abitanti e circa 200mila utenti per l’ospedale (la metà dell’intera provincia di Catanzaro) avrà solo il 4% di posti letto.

I progetti attesi per l’ospedale di Lamezia Terme dopo 20 anni di lotte e beffe
Ma per la sanità lametina non c’è solo il rischio di un ulteriore depotenziamento dell’ospedale di Lamezia, ma anche la mancata concretizzazione di progetti esecutivi e addirittura già appaltati per 4 milioni di euro. A luglio 2021, infatti, i vertici dell’Asp di Catanzaro firmarono la determina dirigenziale n. 3999 in favore dei servizi di ingegneria per la realizzazione del nuovo edificio Malattie infettive e terapie intensive e subintensive all’ospedale “Giovanni Paolo II” (Legge 17 luglio 2020 “Decreto Rilancio”) di Lamezia Terme. L’allora direttore sanitario dell’Asp di Catanzaro, Ilario Lazzaro (poi direttore generale) e il responsabile della gestione tecnico patrimoniale, ingegnere Sette, assicurarono che l’iter stava procedendo nei termini previsti. Sono trascorsi quasi tre anni ma ancora non si è visto nulla da queste parti. Un’altra beffa, insomma, già oltre l’orizzonte.