Le parole del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nella conferenza stampa in cui ha illustrato le “misure urgenti” sul Superbonus, sono state chiare. Ma forse non abbastanza per inquadrare la situazione in tutta la sua gravità. Che non sta solo nell’entità della somma spesa in bonus edilizi – che ormai ha superato i 150 miliardi – ma soprattutto nel fatto che non si sappia di preciso quanto sia e quanti siano i crediti fiscali ancora non emersi.
È l’ammissione di una spesa completamente fuori controllo. “Il conto è salatissimo”, ha detto Giorgetti: “Attendiamo i dati definitivi, le sorprese sempre in negativo non sono mancate”. Ma non c’è un numero: il Mef non è ancora in grado di darne, con la ragionevole sicurezza di non essere smentito dopo pochi giorni.
Il governo, in pratica, non sa ancora quanto ha speso in bonus edilizi lo scorso anno. Il primo marzo, l’Istat ha detto che il deficit è di oltre 40 miliardi superiore al previsto (7,2 per cento), ma quel dato è già superato perché il contatore continua a macinare debiti man mano che vengono caricate sulla piattaforma dell’Agenzia delle entrate le fatture relative al 2023. C’è tempo fino al 4 aprile.
È come se lo stato avesse distribuito, a richiesta, un numero indefinito di carte di credito e ricevesse l’estratto conto delle spese sostenute solo con svariati mesi di ritardo. Per limitare i danni di una situazione ormai completamente fuori controllo, il decreto del governo cerca in sostanza di bloccare questo meccanismo infernale. Lo scopo è “chiudere definitivamente l’eccessiva generosità di una misura che ha causato gravi problemi della finanza pubblica e i cui effetti potremo contabilizzare definitivamente tra pochi giorni”, ha detto Giorgetti.
Per chiudere definitivamente i conti con il 2023, il decreto elimina la possibilità della “remissione in bonis” che avrebbe consentito, pagando una piccola sanzione, di accedere ai benefici fino a ottobre. In questo modo il 4 aprile resta il termine ultimo e il Mef dovrebbe avere, finalmente, contezza di quanto ha speso lo scorso anno.
Con le altre misure di urgenza, invece, Giorgetti punta a limitare i danni per il 2024. Vengono eliminate definitivamente le residue fattispecie che rendevano possibile lo sconto in fattura o la cessione del credito al posto della detrazione. Questa ulteriore stretta ha un duplice obiettivo, economico e contabile.
Da un lato, si vuole chiudere il rubinetto della spesa che sembra correre anche nel 2024. Dall’altro lato, invece, si vuole avere la certezza di non avere brutte sorprese dalla definizione dei crediti fiscali da parte di Eurostat. L’agenzia statistica europea, infatti, entro giugno dovrà esprimersi sulla classificazione dei crediti edilizi del 2024 per decidere se sono payable o non payable.
La cessione del credito, che rende il bonus facilmente trasferibile e compensabile, spinge per la classificazione di queste tax expenditure come “pagabile”: questo comporta che l’intera somma venga iscritta nell’anno di emissione e, quindi, peserebbe integralmente sul deficit del 2024. La tradizionale detrazione “non pagabile”, invece, consente secondo Eurostat di spalmare il costo su più esercizi.
Nell’anno in cui ripartono le regole fiscali europee, e in cui probabilmente l’Italia entrerà in procedura d’infrazione per deficit eccessivo, naturalmente il governo vuole che la spesa per bonus edilizi sia bassa diluita su più esercizi. Altrimenti la politica economica sarebbe completamente paralizzata.
In aggiunta, a tre anni dall’inizio, il governo ha previsto l’obbligo di una sorta di comunicazione preventiva (prima cioè dell’inizio dei lavori) per avere contezza dell’esborso in tempo reale. Il monitoraggio della spesa, che dovrebbe essere la norma, in questo caso viene introdotto dopo che 150 miliardi di buoi sono scappati dalla stalla.
Su questo punto Giorgetti ha di fatto scaricato il Ragioniere dello stato (Rgs), che ha il compito di quantificare la spesa ex ante e di monitorarla in corso d’opera. A una domanda sulle responsabilità del Ragioniere, Biagio Mazzotta, il ministro ha risposto che “non è questa la sede per discuterne, ma il fatto che introduciamo delle norme di monitoraggio testimonia il fatto che queste misure sono nate in moto totalmente scriteriato e hanno prodotto risultati devastanti per la finanza pubblica”.
È lo scontro più forte tra esecutivo e Rgs dai tempi del governo Conte I, quando il portavoce del premier, Rocco Casalino, con parole poco eleganti, si scagliò contro l’allora ragioniere Daniele Franco. All’epoca il governo Conte voleva far passare spese senza coperture mentre il Ragioniere si opponeva, arrivando a minacciare le dimissioni pur di non “bollinare” misure che sfasciassero il bilancio. Stavolta lo scontro è per le ragioni opposte.