La voragine nella finanza pubblica prodotta dal Superbonus è un disastro annunciato, sebbene non in queste dimensioni inimmaginabili. L’entità del buco di bilancio, ancora indefinito, ma che ormai cumulativamente ha certamente superato i 100 miliardi di euro, ha aperto un tardivo ma necessario dibattito sugli errori e sulle responsabilità di una misura così sciagurata.Ma affinché questa sorta di analisi collettiva sia feconda, bisogna evitare due facili scorciatoie: la prima è quella del “capro espiatorio”, la seconda è quella del “tutti colpevoli, nessun colpevole”.
Ora si discute molto delle responsabilità della Ragioneria dello stato (Rgs), specialmente del ragioniere Biagio Mazzotta, che ha il ruolo di “bollinare” i provvedimenti: ovvero il compito di valutare il costo delle misure, di stimare le coperture per farvi fronte e di monitorare l’andamento della spesa. È evidente che se per tre anni emergono debiti imprevisti e non coperti per decine di miliardi, senza che esista un monitoraggio in tempo reale della spesa né un freno d’emergenza per bloccarla, qualcosina non ha funzionato, per usare un eufemismo.
Su questo giornale siamo stati i primi, il 21 febbraio 2023 (e ripetutamente per un anno) a sottolineare le gravi inadempienze della Rgs, ammesse dallo stesso Mazzotta in audizione alla Camera quando ha dichiarato che per il futuro servono “modelli di valutazione d’impatto ex ante” (che, tradotto, vuol dire che ora non ne esistono di adeguati: un’ammissione terrificante da parte di chi ha il compito di salvaguardare la tenuta dei conti pubblici).
Come è stato scritto in questi giorni da più parti, su autorevoli quotidiani, non sarebbe corretto fare di Mazzotta e della Rgs il “capro espiatorio” di una politica dissennata ostinatamente voluta e trasversalmente perseguita da tutta la classe politica attraverso vari governi. L’osservazione è valida, ma con alcune precisazioni.
In primo luogo, il “capro espiatorio” è generalmente un animale o una persona innocente attraverso il cui sacrificio vengono espiati i peccati di tutta la collettività (in questo caso la politica) e, come abbiamo visto, la Rgs non è affatto esente da colpe.
In secondo luogo, con questo modo di procedere si rischia di cadere nell’altro rito di assoluzione collettiva: “Tutti colpevoli, nessun colpevole”. Ciò che invece andrebbe fatta è una riflessione aperta che distingua le varie responsabilità e cerchi di metterle in ordine di gravità. È evidente che gli errori della tecnostruttura non debbano assolvere la politica, ma è altrettanto necessario che non accada il contrario: che le colpe della politica assolvano quelle dei tecnici.
In questa vicenda ci sono delle chiare responsabilità tecniche, da parte di chi per anni ha validato misure di spesa che si sono rivelate tre-quattro volte superiori alle stime. E non è molto utile dire che le stime le ha fatte il dipartimento Finanze del Mef, mentre la Rgs le ha solo “bollinate”: perché se il primo ha sbagliato i conti, la seconda ha certificato che i conti sbagliati erano giusti.
E su un altro piano ci sono, poi, le responsabilità politiche. Che non sono affatto inferiori a quelle dei tecnici, anzi. Ma anche in questo caso vanno differenziate. Tra i vari governi che si sono succeduti c’è la responsabilità di chi ha ideato un incentivo così perverso come un credito d’imposta al 110 per cento cedibile come una moneta fiscale (governo Conte/Gualtieri) e, via via a scalare, quella di chi ha cercato di arginare il Superbonus senza riuscirci (governo Draghi/Franco) e, infine, quella di chi ha provato a bloccarlo in ritardo e finora senza successo (governo Meloni/Giorgetti). Sono tutti responsabili ma, evidentemente, non tutti nella stessa misura.
Dopo una catastrofe finanziaria, tecnica e politica del genere, che incarna un fallimento del nostro sistema democratico, non servono riti di purificazione collettiva, ma un’analisi rigorosa delle cause degli errori e dei vari gradi di responsabilità. Affinché non si ripeta mai più nulla di lontanamente simile.