Adesso che il Pd ha ufficialmente escluso di candidarla alle Europee, ci si chiede se la politica continuerà a sfruttare Ilaria Salis o se comincerà finalmente ad aiutarla.
Finora i partiti hanno speculato sulla sua condizione di detenuta nelle carceri ungheresi. Quelli di destra, improvvisamente amici dei magistrati, per dipingere la maestra come una mezza brigatista che se l’è andata a cercare. E quelli di sinistra, improvvisamente amici dei garantisti, per trasformarla nell’ennesimo santino antigovernativo da esibire nelle processioni da uno studio televisivo all’altro. Raramente c’era stata una rappresentazione così plastica dello smarrimento di senso della politica, a cui i cittadini chiedono di risolvere i problemi, non di brandirli contro l’avversario di turno per strappare un voto nelle urne o un applauso nei talk show, senza che lo sforzo retorico produca mai il minimo risultato pratico.
Una classe dirigente degna di questo nome si sarebbe già messa d’accordo sull’obiettivo da raggiungere: togliere l’imputata Salis dalle grinfie di coloro che l’hanno trascinata in tribunale al guinzaglio. E avrebbe mantenuto un profilo bassissimo sull’intera vicenda, consapevole che montarci sopra un «caso» avrebbe sortito l’unico effetto di irrigidire la controparte ungherese.
Certi nodi non si sciolgono a colpi di comunicati-stampa o di candidature simboliche, prima ventilate e poi scartate, ma con quel paziente lavorio sottotraccia in cui un tempo eravamo maestri.