(…) L’istruzione di massa a tutti i livelli, che non può e non deve rinunciare a una classificazione che è, accanto all’incivilimento, un suo compito essenziale, indispensabile al buon funzionamento della società (chi vuole insegnanti o medici ignoranti, cattivi ingegneri, dirigenti impreparati e autoritari, impiegati incompetenti e scortesi ecc.?), è quindi prima di tutto una conquista che va difesa e per quanto possibile migliorata. Questo però non deve impedirci di vederne i problemi e le conseguenze, incluse quelle sgradevoli.
Una di esse è la possibile trasformazione del merito in una ideologia gerarchica e potenzialmente “razzista” (io guadagno di più e vivo meglio perché me lo merito, come tu meriti il poco o il nulla che hai), su cui spero di tornare in futuro. L’altra, più reale, è una stratificazione sociale, sessuale e psicologica di tipo nuovo, di cui occorre avere coscienza per affrontarne i problemi. Pensiamo per esempio a chi l’istruzione di massa esclude, per vari motivi: provenienza da ambienti disagiati certo, ma anche disturbi o problemi personali, o più semplicemente preferenze per ambiti che non sono quelli legati all’istruzione.
Arriviamo così alla produzione, all’interno della modernità matura stessa, di forti aree di disagio.
In Italia, per esempio, malgrado un sistema scolastico certamente non rigoroso, non riesce a prendere un diploma circa il 15 per cento degli iscritti alle superiori, con forti variazioni regionali e un altro 30-40 per cento di chi ce la fa non si iscrive direttamente all’università (cosa che alcuni fanno in seguito).
Quasi il 50 per cento dei giovani resta quindi fuori dall’università. Rinunciare a questa prima, ancorché indiretta, opera di classificazione abbassando standard indispensabili al buon funzionamento sociale (standard che sono spesso già troppo bassi per mantenere la nostra posizione nel mondo) sarebbe ovviamente sbagliato, perché danneggerebbe tutti.
Ma certo bisognerebbe cercare di ridurne le dimensioni, e affrontare i problemi che essa genera, abbandonando retoriche false e irritanti (specie alle orecchie di chi non “riesce” e si sente quindi colpevolizzato e emarginato) come quella di un’università “per tutti” che è un obiettivo irraggiungibile (a meno di falsificare i processi di apprendimento), e questo a prescindere dalle forti differenze di impegno richieste dai vari corsi che essa offre.
E’ inoltre evidente che tra quanti saranno tagliati fuori dai redditi stabili e relativamente elevati garantiti dall’istruzione superiore prevalgono i maschi, alcuni dei quali troveranno però per fortuna successo negli affari, nella musica, nello sport ecc.
Sarebbe quindi sbagliato associare strettamente il mancato raggiungimento di un diploma superiore o della laurea all’area del disagio.
Ed esso non andrebbe stigmatizzato, anche perché si può avere un lavoro gratificante, un buon reddito e uno stile di vita piacevole e condiviso anche essendone privi.
Resta però il fatto che le percentuali dei maschi che non posseggono le qualità richieste dall’istruzione moderna sono rilevanti: secondo Alma Laurea, per esempio, in Italia le ragazze tendono a intraprendere più spesso un percorso universitario anche se non provengono da famiglie con genitori laureati, sono in media più studiose dei coetanei maschi e hanno voti di laurea più brillanti (magari per poi guadagnare, ancor oggi ma chissà domani, meno di maschi che hanno preso voti peggiori).
Nel 2021 le donne erano così quasi il 60 per cento dei laureati, un fenomeno anticipato da quanto accade alle superiori, indipendentemente dal tipo di istituto: anche qui le studentesse prendono voti più alti, ripetono meno l’anno, fanno più esperienze internazionali e sono più impegnate in attività di carattere sociale.
A giudicare da questi dati, il Moderno maturo sembra insomma una società più adatta alle donne di quelle che lo hanno preceduto, così come le donne sembrano più adatte a esso, un fenomeno che alcuni acuti osservatori avevano già cominciato ad osservare ragionando nel 19esimo secolo sulla vita urbana rispetto a quella rurale.
Come indicano con chiarezza da circa due decenni i dati relativi agli Stati Uniti e al Regno Unito, il sistema di istruzione integrale di massa ha anche un impatto notevole sulle preferenze ideologiche e le scelte elettorali di chi lo frequenta, e quanto e come. I college graduates tendono a votare più compattamente per i democratici di cui hanno già modellato il profilo, mentre coloro che hanno solo un diploma concentrano i loro voti sui repubblicani. E questa tendenza è significativamente più forte tra quelli che hanno titoli di studio superiori al college, di cui più della metà (54 per cento) sostengono valori “consistentemente liberali o principalmente liberali” e solo il 24 per cento consistentemente o principalmente conservatori. Nel Regno Unito il voto per la Brexit ha evidenziato tendenze simili e più in generale gli studi sembrano dimostrare che nei paesi “maturi” livelli più elevati di istruzione corrispondono ad atteggiamenti e preferenze democratiche e di sinistra, una correlazione che non sembra essere vera per i paesi dove l’istruzione superiore non è ancora generalizzata.
Altre ricerche confermano che titoli più alti di studio tendono a ridurre la simpatia per l’autoritarismo e i pregiudizi razziali, ma nutrono anche la preferenza per politiche economiche più rigorose e ostili all’aumento dell’imposizione fiscale, un tempo associate con la destra, come se l’aver “meritato” un reddito più alto grazie al successo negli studi indebolisse il senso di colpa caratteristico di una parte di quanti dispongono di una ricchezza ereditata e non “guadagnata”. Il fenomeno potrebbe essere un’anticipazione delle possibili derive di una “meritocrazia” i cui protagonisti non riescono a capire perché occorra dare a chi andava a ballare o giocava a pallone o perdeva il suo tempo “mentre io studiavo”. In Europa continentale la situazione è (ancora?) meno chiara e la tendenza è più debole, ma essa sembra presente, benché in maniera embrionale, anche in Italia.
Sembra inoltre possibile ipotizzare che il funzionamento del nuovo sistema di istruzione integrata di massa abbia conseguenze notevoli anche sulle culture e le rappresentazioni della destra e della sinistra.
I sostenitori più attivi di Trump e i filmati degli invasori del Campidoglio del 6 gennaio 2020 ci restituiscono un’immagine del militante di destra più vicina a quella di un sovversivo e di una persona relativamente emarginata che a quella di un sostenitore tradizionale di una “maggioranza silenziosa” legge e ordine.
Al tempo stesso tante scelte e tante candidature della sinistra sembrano più adatte a un blocco moralista, composto di persone per bene (anni fa un vecchio amico si lamentava incredulo delle ripetute candidature di prefetti e magistrati da parte di partiti che un tempo si volevano rivoluzionari).
E’ lecito chiedersi se la formazione di quello che ho chiamato altrove “un bacino reazionario di massa” (dove “reazionario”, un termine di cui non sono soddisfatto, non ha la sua tradizionale coloritura, ma esprime piuttosto tendenze nuove ancorché spesso sgradevoli) trovi anche qui una sua fonte, che si aggiunge a quelle, certo più importanti, legate all’invecchiamento della popolazione, alla reazione all’immigrazione o alla società delle aspettative decrescenti.
Come affrontare i problemi che ciò pone a chi crede ancora nella razionalità e nel progresso sarà, spero, il tema di un altro articolo, ma è subito evidente l’importanza di riuscire a riconoscere tutti e a parlare con tutti, forti e deboli, promossi ed emarginati, e specialmente agli “indeboliti” dalla nostra modernità matura, un gruppo che non comprende solo i prodotti più fragili delle sue fantastiche conquiste, vale a dire i vecchi moltiplicati dal prolungamento dell’attesa di vista.
ANDREA GRAZIOSI (1954) è uno storico. L’articolo di cui qui si riporta solo un estratto s’intitola “Pregi e limiti dell’istruzione di massa” (il Foglio)