Su X, Francesco Cundari ha scritto: «Per tutti quelli che nel Pd ora si scandalizzano della slealtà, dei voltafaccia e del cinismo di Conte c’è una sola parola. Bari. Plurale». Luca Sofri, sempre su X, ha commentato: «Insomma Bari sta dimostrando che per il PD allearsi col M5S non funziona e che cooptare quelli di centrodestra non funziona: resterebbe quella vecchia idea di costruire un PD che si faccia votare e vinca le elezioni».
Basterebbe fermarsi qui, anche perché non credo sia necessario argomentare ulteriormente ciò che abbiamo scritto fastidiosamente e senza sosta tutti i santi giorni per quattro anni di fila, e cioè che Giuseppe Conte è la più grande impostura della politica italiana e chi da anni lo asseconda ha ormai raggiunto i requisiti necessari per richiedere e ottenere il “bonus psicologo”.
Linkiesta ha scritto in splendida solitudine chi era, e chi è, Giuseppe Conte sia quando governava con Salvini sia quando governava con il Pd. Chiedo scusa per aver usato il verbo “governare” a proposito di due grottesche esperienze politiche bipopuliste caratterizzate da imbarazzanti figure internazionali, decreti sicurezza e porti chiusi in difesa della razza, giustizialismi di stampo sudamericano, trumpismi di ogni ordine e tipo, accordi di vassallaggio con la Cina, mutilazione del Parlamento in nome del superamento della democrazia rappresentativa, disastri economici e sanitari che ci avrebbero accoppato se non fossero arrivati Mario Draghi e il generale Figliuolo, un Pnrr da barzelletta per cui a Bruxelles ridono ancora, putinismi da Volturara Appula con amore e superbonus di cittadinanza.
Insomma, favolose gesta che prima o poi meriterebbero una solenne retrospettiva tipo quelle ricorrenti sul Futurismo o sull’Arte povera, perché come altro può essere omaggiato il contismo se non come una funambolica riedizione politica e altrettanto concettuale della merda d’artista?
Inutile fare l’elenco delle slealtà e dei sadismi di Conte nei confronti di un Pd imbelle e masochista che da anni lo abbraccia strategicamente perché mosso da un unico e grottesco disegno strategico: fare il contrario esatto di quello che fa in quel momento Matteo Renzi, l’ex segretario dimessosi sei anni e quattro segretari fa da un partito che per ragioni incomprensibili non riesce a liberarsene.
L’unico programma non negoziabile del Pd dal 2018 a oggi è quello di derenzizzare il partito, servendosi di metodi da gruppo Wagner, anche nei confronti delle brave, bravissime, eurodeputate del Pd, molto rispettate a Bruxelles ma potenziali vittime della pulizia etnica del Nazareno nella prossima tornata elettorale perché colpevoli, anni fa, di aver guidato le liste europee del Pd di Renzi.
Poco importa che la Schlein sia anch’essa una beneficiata di Renzi, essendo stata eletta a Bruxelles, nonostante fosse arrivata sesta nella sua circoscrizione, grazie al clamoroso 40 per cento ottenuto nel 2014 dall’allora presidente del Consiglio. Schlein è uscita dal Pd l’anno successivo, ed è stata eletta segretaria del partito l’anno scorso pur non facendone parte, anzi proprio grazie alla sua storia di militante progressista che voleva occupare il Pd, esattamente la stessa cosa che vuole fare anche Giuseppe Conte, occupare il Pd, con la solita mistificazione dell’alleato strategico cui affidarsi per battere la destra.
Dopo l’ultimo schiaffo barese di Conte al Pd, Elly Schlein con ritrovato orgoglio di partito ha detto che «Conte aiuta la destra». Che tenerezza! Ma, in teoria, anche un’opportunità per il Pd di rivendicare la differenza con i grillini e di stabilire un rapporto non tossico con i populisti di Conte.
L’effetto però è comico, non tanto perché Schlein e altri dirigenti del Pd (i famosi bari al plurale del tweet di Cundari) si siano accorti del giochetto di Conte soltanto adesso, nell’anno del Signore 2024, ma perché la segretaria del Pd e i suoi continuano a sbagliare analisi: Conte non aiuta la destra, Conte è la destra.