Peppiniello Appulo/Non ci faremo cambiare dalla politica, siamo o non siamo l’antipolitica?

Pomeriggio di giovedì 11 aprile. Leggo sul Corriere di Conte: «Rimettiamo tutte le deleghe in Regione Puglia. Non ci faremo cambiare dalla politica: noi siamo quelli che fanno pulizia”. Alzo lo sguardo e nella stessa pagina trovo un articolo di Tommaso Labate dal titolo:
Così il Conte «Crono» ha divorato gli alleati (e anche molti 5 Stelle).
Senza che Labate, calabrese di Marina di Gioiosa Ionica, lo voglia, l’articolo potrebbe diventare un elogio sperticato delle doti politiche dell’uomo che cominciò a far politica facendo il capo del governo. Uno che diventa capo scout nazionale senza fare il lupetto, uno che diventa papa senza fare il prete, preside senza aver mai insegnato. È stato teletrasportato, dalla cattedra di diritto privato in quel di Firenze ma soprattutto dal suo lavoro principale di avvocato nello studio Alpa, allo scranno di presidente del governo che passerà alla storia come il Conte1.

Scovato dall’avvocato (e da chi sennò?) Fofò Bonafede e sponsorizzato da Giggino Di Maio, il politico “per caso” cominció dall’alto.
Insomma, uno che non si vuole far cambiare dalla politica dimentica che lui è stato catapultato al governo senza esperienza, pratica, tirocinio, impegno. La politica dell’uno vale uno, l’antipolitica, lo ha pre-scelto. Non è stato votato, discusso, scelto. Uno solo, Di Maio, lo ha innalzato alla presidenza del Consiglio. Un caso unico e speriamo irripetibile che tutti, compreso Labate, dimenticano o mettono tra parentesi. Ma torniamo ad oggi, e leggiamo lo spiegone che Labate fa di questa vicenda unica ed illuminante:
C’è un esercito fatto di pezzi di classe dirigente italiana che arrivato a contatto con l’ex premier ha finito per subire gli stessi effetti di Superman con l’odiata kryptonite: da Salvini alla stessa Schlein (passando per Di Maio).

E’ così? Vediamo. Labate dimentica (in buona fede) diverse cose.

I) Durante il governo Conte 1, Peppiniello non tocca palla. Non appare, non compare, perchè sono i suoi due vice, di Maio e Salvini, a comandare. Lui è un fermaporta, un’ombra, un passacarte. Non lo dico io, basta una semplice ricerca su Google cliccando “Conte1”.

II) Poi, arrivano il suicidio di Salvini al Papeete e Renzi che crea il Conte 2. Siamo a settembre 2019 (il governo giallorosso resterà in carica dal 5 settembre 2019 al 13 febbraio 2021, per un totale di 527 giorni). Cinque mesi dopo scoppia il covid e Peppiniello vince la Lotteria Italia, da questa tragedia ricava la sua fortuna. Che è una sola: ogni sera appare in tv a reti unificate teleguidato da Casalino, e dalle sue labbra pendono gli italiani in cerca di rassicurazioni e consolazione.

III) Ecco in soldoni il ritratto di Peppiniello Appulo, oggi capo dei 5Stelle, essendosi ritirati Grillo e Di Maio, e avendo, ecco la cosa più importante di tutte, il sistema politico italiano rigettato come un corpo estraneo Mario Draghi, capace in 616 giorni, dal 13 febbraio 2021 al 22 ottobre 2022, di portare l’Italia fuori dal covid restituendoci a livello internazionale un prestigio che avevamo perduto col Conte 2. Giuseppi fece scorazzare per la penisola truppe russe, fece intese con i cinesi sulla via della Seta, e si fece adottare come ” il mio Giuseppi” dal golpista Trump. Il rigetto di Draghi dall’intero sistema politico è stato facile perchè egli non ha voluto ripetere l’esperienza di Mario Monti, il quale, ben più sgamato ai giochetti politici, per evitare di essere espulso pensò bene di farsi votare con un suo progetto politico. Gli scienziati del Pd hanno preferito regalare l’Italia alla fascista Meloni piuttosto che tenersi Draghi. Ecco la nostra tragedia e vergogna: neppure al Colle lo hanno voluto, mette in ombra tutti i franceschini e gli ini ini del nostro politicume.

Tommaso Labate dimentica tutti questi fatti e compendia il seguente suntino: …c’è un esercito (che più eterogeneo non si potrebbe) fatto di pezzi di classe dirigente italiana — da Alessandro Di Battista a Mario Draghi, da Beppe Grillo a Enrico Letta, da Luigi di Maio a Matteo Salvini, da Virginia Raggi fino appunto a Elly Schlein, ma l’elenco potrebbe estendersi a Davide Casaleggio e oltre — che arrivato a contatto con Conte ha finito per subire gli stessi effetti di Superman con l’odiata kryptonite. Tolti Gianroberto Casaleggio, scomparso troppo presto, e Matteo Renzi, che pur avendone agevolato il ritorno a Palazzo Chigi non s’è mai fidato di lui, non c’è big del gotha del campo allargatissimo dell’ultimo decennio con cui l’Avvocato del popolo non abbia finito per rompere. 

Fin qui tutto vero e condivisibile. In fondo è l’elenco di quelli con cui Peppiniello Appulo ha rotto. Insomma, per quanto il comportamento di Conte possa apparire spregiudicato, è difficile dargli tutti i torti: sta semplicemente reclamando ora quella leadership che i democratici sono stati i primi a offrirgli, e ovviamente lo fa con i metodi che i Cinquestelle hanno sempre usato nei confronti del Pd, almeno dai tempi di Bibbiano, su cui peraltro la corposa ala grillofona del partito non ha mai trovato nulla da ridire. Non si vede dunque perché proprio adesso, in vista delle elezioni europee in cui si misureranno i rapporti di forza, Conte dovrebbe smettere di infierire.

Continua Labate: La parte del Pd che un tempo lo celebrava come «il punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste» (la frase fu pronunciata da Nicola Zingaretti ma condivisa da molti) ha finito, forse, per pentirsene. Allergico a qualsiasi tipo di tandem che non lo preveda nel posto davanti e col manubrio in mano — versione contemporanea del «capotavola è dove mi siedo io» reso celebre da Massimo D’Alema, con cui c’è stima reciproca — il leader M5S ha onorato la promessa fatta a sé stesso di sbarazzarsi anzitempo del governo Draghi lasciando che fosse Draghi a far calare il sipario. Nel suo studio di Montecitorio, quando il governo dell’ex presidente della Bce è quasi caduto, dice a Franceschini e Speranza che «va bene, votiamo la fiducia ma un secondo dopo usciamo dal governo». E in un colpo solo fa strike, giù tutti i birilli: via il governo, via l’alleanza col Pd, fine del campo largo. Che oggi ritorna, coi tormenti di sempre e un finale già scritto. Forse. Secondo Labate, Peppiniello è “diventato un leader fatto e finito, con la spregiudicatezza propria di certi leader”. L’ex Avvocato del popolo — un po’ come il mitologico Crono coi figli — ha finito per divorare uno dopo l’altro tutti gli alleati.

Ma quando mai? Un leader fatto e finito? Un Crono?

Nella mitologia greca, Kronos è un Titano figlio di Urano (Cielo) e Gaia (Terra). Egli spodestò il padre dal suo trono e divenne il primo re del mondo, detenendo il potere sui propri fratelli e compagni Titani. Crono sposò sua sorella Rea e fu infine deposto da suo figlio Zeus. Peppiniello siamo sicuri che ha deposto Urano Grillo? Ho i miei dubbi, appena Grillo si libera del processo del figlio e ne trova uno che gli va più a genio, ci mette un’ora per farlo tornare nello studio Alpa.

Infine, al costo di 220 miliardi per due misure edilizie nocive, pensate senza freni nè vincoli nè monitoraggio della spesa (in 3 anni l’impatto sul debito è aumentato di 20 volte rispetto alle stime iniziali), Peppiniello si è comprato il voto meridionale e quello di opinione con la complicità della congrega più masochista che la storia politica della sinistra abbia conosciuto dai tempi del socialista massimalista Mussolini. Il campo largo è la strategia più suicida che la Ditta abbia escogitato per farsi risucchiare nel buco nero del populismo. E’ una semplice sindrome di Stoccolma se vogliamo rifarci a canoni psicanalitici, è l’antica corrente massimalista che riaffiora puntualmente dagli anfratti della storia politica, quella corrente moralista che si mette sempre la maschera dei Buoni scovando ogni volta i Cattivi di turno, da Turati sino a Renzi e Calenda.