Alberto Brambilla *Presidente Itinerari Previdenziali
Che l’imposizione fiscale sia eccessivamente alta per il combinato di imposte dirette e indirette, non c’è dubbio ma non lo è per tutti. Bisogna infatti chiedersi per chi è così alta. E se non si risponde a questa prima domanda, si continuano politiche che nel nobile tentativo di ridurre la povertà hanno invece l’effetto opposto di «addormentare» il Paese moltiplicando i poveri.
Prendiamo un dato che parla da solo: il 22,15% degli italiani paga il 74,26% di tutta l’Irpef, la stragrande parte di Irap, Ires, imposte sostitutive e indirette. Siamo in presenza di una vera e propria evasione di massa, considerando (Libro Blu dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) che la spesa per il gioco d’azzardo in Italia nel 2022 è stata di oltre 136 miliardi di euro, cui occorre aggiungere almeno altri 20 miliardi per il gioco irregolare.
Sarà complicato finanziare nei prossimi anni il nostro generoso welfare se sono così in pochi quelli che danno e tanti quelli che prendono; altro che portare le pensioni a mille euro al mese: falliremmo dopo pochi anni.
Una possibile soluzione c’è: si chiama contrasto di interessi. In Italia ci sono 25,5 milioni di famiglie che comprano una serie di servizi e lavori per la casa, aiuti domestici, mobilità e così via, direttamente dai fornitori finali senza intermediari che sono, oltre ai lavoratori autonomi regolari, un plotone di irregolari, secondo lavoristi, assistiti da ammortizzatori sociali, disoccupati, clandestini. Tolti artigiani e commercianti regolari, possiamo stimare in circa 4 milioni i «sommersi» (dati Istat) che peraltro fanno una spietata concorrenza sleale ai regolari.
Moltiplicate il numero di famiglie per 4 interventi l’anno e vengono fuori più di 100 milioni di prestazioni «Iva evasa» che, ipotizzando un costo medio di mille euro, fanno già oltre 100 miliardi.
A questi numeri occorre poi sommare le prestazioni fatte dai regolari ma che diventano anche queste in parte in «nero» per un ovvio motivo di concorrenza e convenienza: prendiamo un lavoratore medio che guadagna 1.400 euro al mese e che deve imbiancare casa (lo stesso vale per lavori idraulici, elettricisti, tappezzieri, meccanici di bici, moto, auto, carrozzieri ecc.); costo dell’intervento 1.000 euro. Il copione è ormai standard: «se vuole la fattura sono 1.220 euro ma se non le serve perché in Italia è indeducibile posso farlo a 900». Ora poiché gli italiani non sono né eroi fiscali e né idioti, la scelta è scontata: «Faccia 900». Il fornitore non paga le tasse, l’Iva, i contributi e vive a carico di coloro che le tasse le pagano mentre il capo famiglia, con i 320 euro risparmiati riesce in quel mese a comprare qualcosa in più per i bambini e per la casa.
Per aumentare il potere d’acquisto delle famiglie e quindi aumentare in modo razionale i consumi, la proposta chiave è il «contrasto di interessi» che riesce a dare una soluzione a tutti questi temi senza causare perdite di gettito per l’erario.
Ed ecco la proposta: per tre anni tutte le famiglie possono detrarre dalle imposte dell’anno (Irpef e altre) il 50% (o 60%) delle spese fatte con regolare fattura elettronica (incrocio dei codici fiscali) nel limite di 5.000 euro annui per una famiglia di tre componenti che aumenta di 500 euro per ogni ulteriore componente; nel caso di incapienza o di spese che eccedono i limiti indicati, la deduzione potrà essere spalmata e recuperata nei tre anni successivi, mentre si possono prevedere misure compensative come quota asili nido, mense scolastiche, trasporti e così via, che consentono un recupero nell’anno.
L’elenco dei lavori e servizi alla famiglia detraibili ricomprende a titolo esemplificativo: manutenzione della casa (lavori idraulici, elettrici, edili, tappezzerie, mobili), manutenzione di auto, moto e biciclette, piccoli aiuti domestici.
Risultati:
1) la famiglia, indipendentemente dal reddito, risparmia 2.500 euro di Irpef (è come pagare i lavori, Iva compresa, al 50% che è una bella concorrenza agli irregolari) il che equivale al trattamento integrativo in busta paga (1.200 euro massimo) più l’assegno unico familiare oppure alla decontribuzione; in pratica una quattordicesima e quindicesima mensilità che per redditi fino a 35 mila euro (l’86% dei contribuenti come emerge dal Report di Itinerari Previdenziali), rappresenta una riduzione del 50% del cuneo fiscale.
2) Gli irregolari vengono drasticamente ridotti. Forse il maggiore risultato dell’operazione: si riafferma la legalità.
3) Lo Stato, se si considera la differenza tra il mancato gettito delle famiglie e le nuove entrate prodotte dai lavoratori autonomi, ne esce potenzialmente alla pari, anche se si recuperano le contribuzioni Inps e si riduce l’evasione Iva e incassa anche più Ires e Irap.
4) Il vantaggio sostanziale è che si ottiene un forte riequilibrio tra lavoratori dipendenti e autonomi con una più equa distribuzione dei carichi fiscali.
5) I prezzi non aumentano per il semplice fatto che la famiglia cercherà di far stare più spese possibili nei 5 mila euro.
6) A regime lo Stato può risparmiare i 12/15 miliardi l’anno del trattamento integrativo per i dipendenti e può ridurre, grazie all’emersione di molti redditi, anche alcune prestazioni legate all’Isee per almeno ulteriori 5 miliardi. Si trova inoltre a disporre di un esercito di controllori fiscali che più chiedono fatture da scaricare più guadagnano con riduzioni dei costi della macchina tributaria. Per un Paese ad alta infedeltà fiscale il contrasto di interessi è l’unica soluzione possibile. Perché non sperimentarla?