La scuola e’ un microcosmo attraverso il quale e’ possibile ricavare lezioni universali, o almeno significative?
Credo sinceramente di si’ e vorrei riflettere sulla ordinarieta’ della vita scolastica quotidiana, cosi’ ripetitiva e abituale che davvero nessuno ci fa piu’ caso, come non ci curiamo se uscendo di casa piove o fa freddo, c’e’ il sole o e’ nuvoloso: tutto quello che non possiamo controllare non ci appartiene e dunque non ci facciamo piu’ caso. Come era il tempo ieri? E che ne so? Mica posso badare al tempo che fa fuori, mica dipende da me.
Veniamo all’ordinario lavoro quotidiano degli insegnanti. Io sono un professore serio, nel senso che cerco di fare il mio lavoro in maniera coscienziosa. Non mi assento mai, sono diligente, mi aggiorno, ho buoni rapporti con tutti, insegno da tanti anni e ormai padroneggio la professione, gli alunni, i colleghi, il preside. Nella classe quando ci sono io tento di instaurare un clima sereno, disteso, ma non tollero chiasso, maleducazione, in sintesi mi piace l’ordine. I voti non li regalo, cerco per quanto e’ possibile di esser giusto e di far apprendere agli allievi che nella vita i buoni voti, cosi’ come i soldi, vanno saputi guadagnare e non si trovano nel campo dei miracoli.
Pero’ che cosa succede, anzi cosa sta succedendo in maniera progressiva da svariati decenni ? E’ presto detto: la scuola di massa e’ una grande svendita continua, di titoli, promozioni, voti, insegnamento. I genitori diventati sindacalisti dei figli pretendono che i pargoli vengano trattati come fiori di serra delicati, con cura certosina, senza che un refolo di vento scompigli i loro capelli, e che ricevano continue gratificazioni sino alla inevitabile promozione accompagnata da voti alti.
In questo andamento ormai storico ma non inevitabile, la scuola quotidiana ha dunque visto tanti docenti “adattarsi” al mainstream, alle esigenze familiari, sociali, alla politica dell’accondiscendenza verso gli alunni da includere tutti e sempre ma soprattutto da gratificare continuamente.
Ecco allora che tanti miei colleghi, non tutti per fortuna ma la maggior parte, elargiscono solo voti alti per cui un allievo ignorante che in un’altra epoca sarebbe stato bocciato alla prima elementare continua il suo percorso sino alla universita’ ricevendo in dono tante sufficienze. Gli altri, meno asinelli, piu’ volenterosi e diligenti, ricevono voti discreti, buoni, ottimi sino al 100 e lode alla maturita’.
Mentre in Francia la legge fondamentale stabilisce perentoria “la scuola francese e’ una scuola elitaria” , il voto positivo e’ diventato nella scuola italiana del terzo secolo un modo come un altro per non aver rogne, e la scala decimale e’ stata rivoluzionata abolendo i voti dall’uno al cinque.
Dentro questo movimento inclusivo della “gratificazione continua” (il quale non riesce pero’ a diminuire gli abbandoni) ci sono poi docenti estremisti convinti che se bisogna annegare occorre farlo in un mare grande e dunque elargiscono solo voti dal sette in su. In genere essi si riconoscono, entrando in qualsiasi scuola di qualsiasi grado, attraverso una prova sonora. Basta misurare le onde sonore che fuoriescono da un’aula chiusa e si capisce che il chiasso e’ ben udibile perche’ sta facendo lezione uno di questi insegnanti larghissimi di voti.
Essi non solo donano a tutti voti altissimi e ingiustificabili ma vogliono anche consentire alle scolaresche la piena espressione dei loro istinti per cui nessuno sta al suo posto, nessuno sta seduto, ognuno parla, grida, canta, sbraita, in piena liberta’. In sintesi sono i docenti che non insegnano il concetto che a tutto c’e’ un “limite”.
A questo metodo educativo ho dato un nome, “Mia Farrow”, che e’ un’attrice americana ex moglie di Woody Allen la quale una volta su un aereo disse una cosa interessante che e’ passata alla cronaca se non alla storia. Dunque, l’attrice stava volando insieme con due suoi figli adottati e quando le hostess la supplicarono di intervenire, di fare qualcosa, per riportarli all’ordine perche’ erano fuori controllo e il tutto stava avvenendo in un aereo in pieno volo, rispose impassibile: I miei principi educativi non me lo consentono. Ecco, alcuni mei colleghi sono altrettanto impassibili e consentono che nelle ore di lezione i loro allievi possano esprimersi in piena liberta’.
Alla fine del quadrimestre e dello scrutinio finale appongono voti molto alti, per cui il cerchio si chiude: tutti sono contenti, il preside, i genitori, gli alunni, le statistiche. Chi fa la parte del severo, del rigoroso, insomma in estrema sintesi, del rompipalle, sono solo io che sarei rigido e cattivo. Dall’essere cattivo oppure buono discende una sola conseguenza che e’ la seguente: gli alunni (con i loro genitori) non ti amano, dunque pare (illusione ottica) che tu non abbia una buona relazione educativa con gli allievi. In realta’ questo non e’ vero (la moneta cattiva scaccia quella buona, ma la reputazione resta), pero’ e’ quello che dicono di te i tuoi colleghi larghissimi. Caro collega, mi amano piu’ di te.
In una scuola italiana dove l’insegnante ha la liberta’ di insegnare come vuole, come puo’ e come sa, e dunque non ci sono vincoli, non esiste uno status giuridico, un “profilo del buon insegnante”, soltanto il docente cattivo (rigido) rischia.
Quelli che “lasciano fare”, che non insegnano nulla a fronte di voti solo alti, che non bocciano nessuno, che non fanno mai una nota, che non rimproverano, che non spiegano, che non interrogano, che danno compiti scritti facilissimi e tutti ottengono dunque voti altissimi, sono benvoluti e possono autodichiarare di aver ottenuto una buona relazione educativa con le classi.
Da questo piccolo esempio possono ricavarsi varie conseguenze la prima delle quali e’ la dimostrazione che la mitica libertà è concetto legato a quello di responsabilità, eppure quest’ultimo non gode di eguale nobile considerazione. La libertà di fare ciò che vogliamo è un bene al quale giustamente nessuno vuole rinunciare. La responsabilità al contrario non ci piace, perché associata spesso al concetto di colpa; il responsabile è colui che deve pagare, per sé e per gli altri, e questo il più delle volte è considerato ingiusto. La responsabilita’ non e’ solo individuale ma anche collettiva, sociale, perche’ insegnare significa anche render conto di quello che uno fa o non fa agli interlocutori sociali.
Se io sono calzolaio e non so far bene il mio lavoro perdero’ i clienti ma questo avviene perche’ opero sul mercato. Un dipendente pubblico pagato dallo Stato per insegnare ai giovani dovrebbe essere assunto sulla base di una legge che stabilisca esattamente cosa egli deve fare insegnando, mentre in Italia questa legge non esiste, anzi non la vuole nessuno, e tutta la professione insegnante viene regolata da accordi collettivi che stabiliscono diritti e doveri. Quante ore devi fare, le ferie, le assenze, le riunioni. Le modalita’ della prestazione non sono stabilite (il buon insegnante durante le sue 18 ore deve fare a,b,c,…) e quindi tutti sono convinti che questo avviene perche’ voluto da un principio costituzionale chiamato “liberta’ di insegnamento”, il quale in vero non concerne la prestazione ma proibisce allo stato democratico di assumere un insegnante a condizione che prima abbia giurato fedelta’ al duce.
Il principio della libera coscienza che e’ stato affermato senza volerlo nelle scuole significa che ciascuno risponde solo alla sua coscienza nello svolgere il suo lavoro, che non essendo descritto nessuno sa come deve esser fatto per poter dire che e’ fatto bene. Dunque coscienti e incoscienti, responsabili e irresponsabili, larghi o stretti di voti, severi o accondiscendenti maestri coesistono nelle nostre aule. Prendono lo stesso stipendio, hanno gli stessi diritti, non hanno nessuna considerazione sociale ormai, ma soltanto i severi rischiano.
Oggi poi che la violenza tracima sulla cronaca e vede vittime anche il personale della scuola, di una sola cosa possiamo star certi: i prof larghissimi di voti non rischiano nulla. Non e’ un grande risultato, ne convengo, ma dopo questa mia dimostrazione posso concludere dicendo che di questi tempi e’ un benefit non da poco. Quindi quando sentirete i prof larghissimi dire la famosa frase ” ma a me chi me lo fa fare?” potrete annotarvi la citazione giusta per sintetizzare lo stato dell’arte della scuola italiana nell’anno 2024