Il Superbonus, la più grande catastrofe che si è abbattuta sulla finanza pubblica nella storia repubblicana, è iniziato malissimo ma rischia di finire peggio. La voragine nel bilancio dell’anno passato continua ad allargarsi e dello sprofondo ancora non si conosce il fondo: dallo 0,7% del pil nel Def 2023, la spesa è salita al 1,8% nella Nadef di settembre, poi al 3,7% con i conti Istat di marzo, confermati dal Def 2024 del 9 aprile ma già superati dal riconteggio Istat del 22 aprile: 3,9% del pil di Superbonus e 7,4% di deficit.
In un solo anno 66 miliardi di extradeficit imprevisto, quasi 150 miliardi nel triennio su tutti i bonus edilizi. Ma ciò che è peggio, è che di fronte a una catastrofe di tale portata, non c’è alcuna intenzione di fare trasparenza né di assumersi responsabilità. L’atteggiamento della politica è molto vario.
C’è la negazione della realtà, che accomuna soprattutto il M5s e il Pd, che sostengono che il problema di bilancio non esista – dato che i bonus al 110% si ripagano da sé o quasi – e che pertanto il Superbonus è solo un “alibi” di Giorgetti e Meloni. Naturalmente è la posizione di chi non vuole fare i conti con le proprie responsabilità di ideatori e prorogatori del bonus.
C’è poi lo scaricabarile: le forze di governo di centrodestra che durante il governo Draghi – sia Lega e FI che erano in maggioranza, sia FdI che era all’opposizione – si battevano per l’estensione della misura e contro ogni tentativo di contenimento della spesa, ora accusano come unici colpevoli i partiti che sostenevano il governo Conte.
In questa modalità si sta piano piano spostando Giuseppe Conte, che da piazzista propagandava il “gratuitamente” e ora che si rende conto della crescente impopolarità del Superbonus di fronte allo sfacelo dei conti, dice: “Io il Superbonus l’ho gestito per sei mesi, poi hanno fatto tutto Draghi e Meloni”. Come se durante il governo Draghi il M5s, all’epoca prima forza del Parlamento e del governo Draghi, non si fosse battuto strenuamente contro ogni restrizione.
Infine c’è la questione del ruolo e delle colpe dei tecnici. Di fronte a stime errate e ripetute per circa 150 miliardi di euro, che gli autori delle relazioni tecniche del provvedimento – il dipartimento Finanze del Mef che ha fatto i conti, ma soprattutto la Ragioneria dello stato che quei conti li ha verificati e “bollinati” – abbiano delle responsabilità è fuor di dubbio.
A prescindere dalla dissennata volontà della politica di proporre un credito fiscale superiore al costo (110%) e per giunta cedibile illimitatamente, il compito delle istituzioni tecniche era quantificarne il costo, valutarne le coperture e monitorare la spesa nel tempo. È ormai evidente che nulla di questo è stato fatto decentemente. Non solo perché le stime dei costi, basate sui vecchi bonus, sono state completamente sballate; ma perché la spesa era di fatto incontrollabile, dato che non era previsto né un tetto alla spesa né un monitoraggio.
Anche rispetto a questa falla tecnica, lo spettacolo è imbarazzante. Il governo pare intenzionato a usare la questione per sostituire il Ragioniere dello stato, Biagio Mazzotta, con qualche figura più affine politicamente. E per farlo pensa di spingere Mazzotta verso l’uscita, offrendogli la presidenza delle Ferrovie dello stato: una delle poltrone delle partecipate in scadenza.
Non si cerca di fare chiarezza, di capire cos’è successo e cosa non ha funzionato, ma solo di occupare una poltrona. Questa decisione, ovviamente, è incompatibile con un’attribuzione delle responsabilità ma più affine a un insabbiamento seppure minaccioso: mettiamoci d’accordo, vattene con le buone, e non ti succederà niente.
Dal canto suo, almeno a quanto si apprende da Repubblica, il Ragioniere dello stato risponde con gli stessi metodi: fa sapere attraverso i giornali di aver preparato un dossier di 49 pagine con tutti i suoi allarmi inascoltati, gli scambi informali e i suggerimenti ignorati durante tutti e tre i governi che hanno gestito il Superbonus: Conte, Draghi e Meloni. Il messaggio è chiaro: se provate a buttarmi di sotto verrete tutti giù insieme a me. Il “custode dei conti” forse non ha custodito i conti, ma sicuramente i documenti per evitare di fare da capro espiatorio.
Rispetto a questa guerra sotterranea di minacce e ricatti, ci sarebbe un modo più democratico e trasparente per affrontare una questione rilevante sia per il passato sia per il futuro del paese. Discuterne in Parlamento. La commissione Bilancio aveva avviato una “Indagine conoscitiva sugli effetti dei bonus edilizi” che ancora non si è conclusa. Se non si intende aprire una commissione d’inchiesta, come sarebbe opportuno, è la sede più adatta per audire di nuovo Mazzotta, in modo che renda pubblico il suo dossier da 49 pagine, non per fare processi sommari e montare ghigliottine virtuali, ma per capire cosa non ha funzionato e chi ha sbagliato, quando si sarebbe potuto rimediare e cosa c’è da correggere affinché nulla di vagamente analogo si ripeta in futuro.
Su questo tema le parole più ragionevoli le ha dette proprio il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in audizione sul Def: “Non è solo colpa della Ragioneria, è una responsabilità diffusa, fin dalla gestazione in tanti non hanno capito dove si poteva arrivare con questa moneta fiscale”. Perché non basta la speranza che la politica in futuro non proponga più misure così scellerate, serve la ragionevole fiducia che istituzioni tecniche come la Ragioneria dello stato glielo impediscano. O, quantomeno, che non l’aiutino a sfondare il bilancio dello stato