15 anni di stipendio senza andare a lavorare e i calabresi che ammobiliano l’inferno

La vicenda del dipendente “fantasma” dell’ospedale Pugliese di Catanzaro che senza mai andare a lavorare ha percepito 15 anni di stipendio riceve dalla Corte dei Conti un significativo chiarimento.
«Tutti sapevano ma hanno scelto consapevolmente di non denunciare alcunché». Si chiude con una parziale sentenza di condanna per un danno erariale di 531mila euro il clamoroso caso di assenteismo che nell’aprile del 2021 ha portato alla ribalta nazionale l’ex azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro a causa del dipendente infedele che dal 2005 al 2020 ha continuato a percepire lo stipendio.

Il dipendente fantasma
È dall’indagine della Procura che si è infatti originato il parallelo procedimento contabile, giunto oggi a sentenza con condanna inflitta ad otto degli iniziali nove convenuti per un danno erariale di 531mila euro, pari all’importo degli stipendi elargiti al «dipendente infedele» (operatore tecnico applicato al servizio emergenza incendi) dell’ospedale dal 2005 al 2020.

Emorragia di denaro pubblico
«Una emorragia di denaro pubblico ingiustificata» scrivono i giudici contabili nella sentenza che oltre a Salvatore Scumace condanna anche gli ex funzionari amministrativi dell’ospedale. «Si è dinnanzi ad una fattispecie di doloso occultamento del danno». Per la Corte dei Conti non solo «tutti sapevano» ma avrebbero anche «intenzionalmente scelto di tacere» attraverso una serie di «condotte omissive, più propriamente omertose». Questa vicenda a mio parere chiarisce il grande equivoco sociologico che ipotizzando esista in Calabria una zona grigia tra gli esponenti mafiosi e la societa’ civile ha prodotto di fatto una incomprensione del ruolo egemonico che gioca la ‘ndrangheta nel tessuto sociale.

In questi giorni e’ giunto in libreria “L’inferno ammobiliato: di ‘ndrangheta, di memorie e di Calabria” l’ultimo libro di Anna Sergi, professoressa ordinaria di Criminologia all’Università di Essex (Regno Unito). 

Sergi continua a spiegarci che la ‘ndrangheta viene spesso indicata come il primo nemico dei calabresi. Eppure, bisogna riconoscere che proprio in Calabria nella forzosa convivenza della popolazione con la ‘ndrangheta spesso di quest’ultima non si percepiscono le vessazioni, non se ne avverte l’oppressione.

Se la Calabria è l’inferno della ‘ndrangheta, molti calabresi hanno imparato ad ammobiliare l’inferno, per usare una felice espressione del sociologo Alessandro Pizzorno. Vi sono luoghi in Calabria dove il “rumore” della ‘ndrangheta non perviene, dove si tenta disperatamente di “abbellire” – ammobiliandola – la propria necessaria convivenza con violenza, degrado, sopraffazione. Questi luoghi vanno ricordati, raccontati e analizzati nella loro complessa relazione con questa mafia onnipresente.
Ecco, anche attraverso una sentenza della Corte dei Conti sul dipendente fantasma, comprendiamo come tra i luoghi dove si abbellisce la convivenza (che e’ sempre un accomodarsi, un farsi i fatti suoi, il non voler avere grane) ci sono anche ospedali e uffici pubblici. Sergi muove dalla considerazione che la ’ndrangheta era stata, fino a tutti gli anni Novanta, un ronzio di fondo, una sorta di “rumore bianco” che in molti contesti non generava particolare disturbo o allarme, quasi fosse la componente necessaria di un immutabile ordine sociale. Siamo giunti al primo quarto del terzo secolo e si osserva come in un posto pubblico di una citta’, Catanzaro, non uno (che ci consolerebbe assai) ma piu’ persone vedono, osservano, sanno che un lavoratore si e’ reso uccel di bosco e minaccia tutti di arrabbiarsi se viene disturbato (insomma e’ un mafioso sia pure di serie C) e lo coprono. La chiamiamo omerta’ ma in fondo e’ il rumore di fondo della mafia, che non disturba nessuno, impone le sue regole e le sue minacce a tutti perche’ sa che tutti non faranno massa critica, ma ciascuno pensera’ a se stesso e solo al suo piccolo microcosmo, e tutti al contrario si uniranno solo nel diventare suoi complici che renderanno possibile quella condotta fraudolenta, senza alcun amor proprio, senza un sussulto di dignita’, senza una sola parvenza di saper prendere le distanze dal fenomeno (chesso’, una lettera anonima alla procura).

L’abbiamo chiamata zona grigia e in fondo se ci pensate bene invece e’ l’acqua in cui nuotano i pescecani. Avendo noi calabresi imparato ad ammobiliare l’inferno bruciamo dentro di esso e qualche buontempone differenzia i mafiosi sanguinari oppure i semplici mafiosetti da quattro soldi dalla societa’ civile. L’omerta’, la connivenza, che sono effetti della paura diventano percio’ le nostre catene e pur stando dentro le nostre prigioni siamo contenti e ci sentiamo pure furbi.