Il traditore/L’egemonia culturale mafiosa dal calcio alla societa’

Basta cominciare dal calcio, che e’ sempre specchio fedele degli umori popolari e dell’opinione pubblica. Dopo anni di ostilita’ della tifoseria fiorentina verso la Juve rea di averle portato via i migliori, da Baggio a Chiesa, marchiati a vita come traditori, fu poi il Napoli che defini’ Higuain un traditore perche’ finito alla Juve che pur pago’ la clausola rescissoria. Ora e’ il turno del Bologna. Il traditore stavolta e’ un allenatore, T. Motta, reo di aver lasciato la squadra per la Juve. Che la faccenda sia peculiare al carattere degli italiani e’ facile dimostrarlo facendo il paragone con altri paesi. In Germania da sempre il Bayern acquista i migliori giocatori delle altre squadre e questi non solo non sono considerati traditori ma sono considerati benevolmente perche’ tutto il sistema calcio tedesco si fonda su queste annuali iniezioni di liquidita’ che il Bayern produce verso le altre compagini. In Francia che Parigi (anche prima che il PSG diventasse qatariota) fosse il centro di attrazione dei calciatori piu’ bravi e’ considerato lapalissiano, inoltre il fatto che fuoriclasse come Platini, Zidane o Henry siano venuti in Italia e i francesi ( con tutta la loro grandeur) se ne sono compiaciuti, dimostra che anche loro non ragionano come i nostri tifosi e presidenti. Non parliamo poi della Spagna dove e’ da sempre normale che al Real Madrid o al Barca finiscano i migliori del Siviglia (Sergio Ramos), o del Valencia, o del Real Saragozza. Infine in Premier League che il migliore finisca in una grande e’ pacifico per cui il passaggio dall’Aston Villa al Manchester City di Jack Grealish, avvenuto nell’estate del 2021 a fronte di un corrispettivo fisso pari a 100 milioni di sterline (117 milioni di euro), record nella storia della Premier, per i tifosi e’ stato un vanto e invece di definirlo traditore lo hanno riempito di regali di addio. I traditori nel nostro calcio (cosi’ come quelli che ci sono anche nella tradizione comunista) sono pertanto il simbolo di una cultura popolare italiana (come tale accomuna plebe e presidenti, dirigenti e popolo) che le mafie hanno plasmato a loro immagine e somiglianza. Il consenso che i mafiosi (anche i piu’ ignoranti e sanguinari come Toto’ ‘o curto) hanno ottenuto nella societa’ si chiama egemonia culturale. Se non si capisce questo non si puo’ comprendere perche’ Messina Denaro sia vissuto per trentanni protetto e custodito nella sua Castelvetrano senza che lo Stato potesse catturarlo.

Un grande intellettuale oltre che autore, Marco Bellocchio, nel 2019 ci racconto’ la figura di Buscetta, il grande pentito, in un film intitolato appunto “Il traditore”. Negli anni Ottanta in Sicilia era guerra aperta fra le cosche mafiose: i Corleonesi, capitanati da Totò Riina, erano intenti a far fuori le vecchie famiglie. Mentre il numero dei morti ammazzati saliva a dismisura, Tommaso Buscetta, capo della Cosa Nostra vecchio stile, si era rifugiato in Brasile, dove la polizia federale lo stano’ e lo riconsegno’ allo Stato italiano. Ad aspettarlo c’era il giudice Giovanni Falcone che voleva da lui una testimonianza indispensabile per smontare l’apparato criminale mafioso. E Buscetta decise di diventare “la prima gola profonda della mafia”. Il suo diretto avversario (almeno fino alla strage di Capaci) non fu però Riina ma Pippo Calò, che era “passato al nemico” e non aveva protetto i figli di Don Masino durante la sua assenza: era lui, secondo Buscetta, il vero traditore di questa storia di crimine e coscienza che ha segnato la Storia d’Italia e resta un dilemma etico senza univoca soluzione. Perche’ mi soffermo su questo film e sulla lettura che Bellocchio da’ del “tradimento”?
Perche’ Il traditore è un film doppio fin dal titolo, perché il tradimento è tale dal punto di vista di Cosa Nostra, ma non lo è dal punto di vista del riscatto umano del “primo pentito”. La doppia lettura è intrinseca alla vicenda di Buscetta, per alcuni un eroe, per altri un infame, un opportunista di comodo ma anche una cartina di tornasole dell’ipocrisia del sistema di giustizia. La manifestazione visibile di questo doppio registro è la continua alternanza nel film fra un dentro e un fuori: l’interno e l’esterno delle case, il crimine organizzato in cui si è catapultati da bambini e da cui non si esce veramente mai, il carcere e la libertà (vigilata, condizionata, comunque impermanente), le auto americane con il tettuccio che “si apre e si chiude”, la palla dentro o fuori in una partita di calcio (vedete che c’entra anche il calcio?) guardata da italiani usciti dal loro Paese con l’eterno sogno di rientrarci.

Nel film basta la prima scena: una festa di famiglia (e di Famiglia) che contiene in sé tanto Il gattopardo quanto Il padrino. La mafia italiana ha saputo imporre i suoi valori perche’ aderisce come una ventosa alla societa’ italiana. Come ha spiegato Falcone tante volte, termini come famiglia e amicizia nel linguaggio mafioso diventano altro da se’. Non c’e’ niente di male nel volere il bene della propria famiglia, o credere nell’amicizia, ma nell’universo mafioso il tradimento si paga con la vita se ci si mette contro la propria Famiglia e se si fa uno sgarbo all’amico.

Insomma, i traditori del calcio (che sono tali non solo per le curve naziste ma per presidenti e benpensanti con la cravatta in tribuna d’onore) non c’entrano nulla con l’amore per la propria squadra ma hanno a che fare con quel concetto ricavato dalla cultura mafiosa che si chiama rispetto. I traditori hanno mancato di rispetto ai tifosi quando se ne vanno da qualche altra parte, hanno tradito la Famiglia. Il rituale che ormai vediamo sempre piu’ spesso, vale a dire quando una squadra ha perso deve andare a rapporto sotto la curva per scusarsi e chiedere perdono e ascoltare silenti gli insulti degli ultra’, moderne forche caudine ad uso e consumo delle telecamere, e’ un rituale di una chiesa dove si deve praticare il Rispetto. La squadra la lasci quando e se lo decidiamo noi, tu sei al nostro servizio e non devi tradirci.