Mastro Lino di Pizzo Calabro, Salis e occupazioni etiche

Michele Vallone, detto «Mastro Lino», era un ometto storto e zoppicante col petto carenato, soffriva d’una disabilità riconosciuta al 70% che gli consentiva solo un lavoretto precario da inserviente a 700 euro al mese e viveva nel 2007, l’altro ieri, in un «basso» di Pizzo Calabro nel rione degradato vicino al maniero in cui fu fucilato Gioacchino Murat. Un tugurio, tra case diroccate e tetti sfondati, puzza di miseria e masserie accatastate, che divideva con la moglie Carmela, tre dei quattro figli (una sposata viveva altrove) e i topi in due stanze più uno sgabuzzino che l’ufficio igiene aveva già bollato a negli anni ’90 «insalubre» con «evidenti infiltrazioni» e i soffitti bassi 2,26 metri, inferiori al minimo del minimo.

Quando lo incontrai e vidi quel tugurio era in lista dal 1977 e per tre volte gli avevano fregato sotto il naso la casa popolare cui aveva diritto. La prima per «l’errore» d’un ufficio, la seconda perché era stata occupata da abusivi poi benedetti da una sanatoria regionale, la terza quando ormai si sentiva già all’asciutto in un locale di tre stanze con acqua corrente in una palazzina nuova a 100 metri dai carabinieri. Macché: poco prima che entrasse, nel 2005, un gruppo di facinorosi sfondò le porte del condominio per occuparlo tutto. La prima a correre sul posto fu Teresa, la vecchia madre di Michele. Che si parò nel corridoio della scala cercando di impedire il viavai degli abusivi che andavano su e giù con cassapanche e letti e televisori: «Mio figlio aspetta da quasi trent’anni! Non potete farlo!» Troppe emozioni: crollò sul pavimento. Morta. A quel punto le buttarono sopra una coperta e continuarono ad andare avanti e indré coi mobili, scansando il cadavere. Senza che alcuno intorno osasse intervenire. Pochi mesi e su ogni terrazzino, viste io, c’era una parabola delle pay-tv. La luce? Misteriosamente allacciata e così il gas e così l’acqua nonostante fosse tutto illegale.

Finché al povero Michele si presentarono gli abusivi: «In memoria di vostra madre un appartamento lo diamo a voi». Rispose: «No, ho diritto che me ne diano uno dove entrare con la mia chiave, non abusivamente». Dovette aspettare altri anni. Ma davvero, compagna Ilaria Salis, le occupazioni hanno una «giustificazione etica, morale e politica»?