L’identità nascosta di Elena Ferrante, mistero che non esiste (per me il gioco del doppio)

Anita Raja
Nata a Napoli nel 1953, laureata in lettere, ha tradotto dal tedesco gran parte dell’opera di Christa Wolf

(FS) L’articolo che segue questa mia introduzione lo ha scritto sul Corsera il 13 luglio 2024 Paolo Di Stefano.

Molte ipotesi sull’autore o autrice (o autori) dietro lo pseudonimo. Il riserbo degli editori, gli esami algoritmici, l’ipotesi formulata dall’italianista Marco Santagata, i controlli sui flussi di denaro di Domenico Starnone e Anita Raja (con polemiche per la privacy violata)“.

E’ l’ennesimo articolo che mi ha fatto molto ridere, ma non per De Stefano, che e’ persona (anche lui meridionale) di grande cultura e intelligenza. Ma perche’ riassume tutti gli studi che dal 1992, anno del suo esordio, hanno cercato di svelare chi si celasse dietro il nom de plume Elena Ferrante.  Con l’uscita della quadrilogia de L’amica geniale a partire dal 2011, scrive De Stefano, erano sostanzialmente tre gli schieramenti critici: gli entusiasti ostinati, i tiepidi ostinati, i detrattori ostinati. Tutti ostinati. Ora che il valore dell’opera adesso viene celebrato ai massimi livelli dal «New York Times» fino ad apparire come un verdetto in qualche modo definitivo, che gli autori a 4 mani che hanno preso il nome di nome di Elena Ferrante siano Domenico Starnone (Saviano, 15 febbraio 1943) e sua moglie Anita Raja appare pressoche’ certo. La cosa che mi ha fatto sempre ridere e’ che se l’ho capito io da semplice lettore di tutti i libri di Starnone, non si comprende perche’ i lettori e i critici di professione, o grandi professori di letteratura italiana, di linguistica, grandi intellettuali, abbiano dimostrato incertezze per un arco di tempo di ben 13 anni. Il 19/12/2018 per dirne una scrissi sul Forum tv di Aldo Grasso la mia spiegazione del motivo per il quale Starnone & Raja abbiano scelto di non firmarsi in prima persona: Non so chi sia(no) Elena Ferrante, ma so di sicuro perché ha deciso di nascondersi. Perché in Italia quando il dito mostra la luna, gli sciocchi guardano il dito. Se l’Autore si fosse firmato, i suoi amici e nemici avrebbero recensito, bene o male, il libro, senza leggerlo. Così ci ha costretto a leggere, senza  sapere, e poi ci siamo divisi nel giudizio. Quando si sa come si comportano gli sciocchi, è possibile prenderli in giro. Quanto alla serie, l’ho trovata troppo cupa, in linea con la voce narrante moribonda della Rohrwacher. Elena, poi, nel libro era timida, in tv è la prima della classe ma troppo timida e laconica… 

Dicevo che ho letto tutti i libri di Starnone, da Ex cattedra, s.l., Rossoscuola e Il manifesto, 1987, a Il vecchio al mare, Torino, Einaudi, 2024, passando per Fuori registro, Milano, Feltrinelli, 1991; Denti, Milano, Feltrinelli, 1994; Via Gemito, Milano, Feltrinelli, 2000; Prima esecuzione, Milano, Feltrinelli, 2007; Spavento, Torino, Einaudi, 2009; Fare scene. Una storia di cinema, Roma, Minimum fax, 2010; Autobiografia erotica di Aristide Gambía, Torino, Einaudi, 2011; Lacci, Torino, Einaudi, 2014; Scherzetto, Torino, Einaudi, 2016; Confidenza, Torino, Einaudi, 2019. Considero Starnone un autore talvolta “geniale” (appunto) e intelligente, profondo.

Per la scuola italiana ha fatto qualcosa di molto audace e coraggioso, ha parlato dei suoi colleghi e delle procedure con ironia e in cambio ha ricevuto solo insulti, denigrazione, offese. Il mondo scolastico si prende troppo sul serio. Quel suo coraggio gli ha fatto capire che se voleva misurarsi con altri tipi di storie e romanzi doveva conquistarsi la liberta’ (ma sul concetto tornero’ in seguito) e dunque far dimenticare il suo cognome e marchio, altrimenti lo avrebbero offeso senza leggerlo. Inoltre, ed e’ questo il motivo principale che mi ha fatto subito identificare Elena Ferrante con i coniugi Starnone, Lenu’ studia alla Normale di Pisa e la docenza (sia pure universitaria, grazie ai suoceri) non le basta. Lei vuole essere una scrittrice e una intellettuale che scrive sui giornali. In tutti i libri di Starnone questo tema e’ ricorrente e diffuso. I docenti, di scuola o di universita’, ambiscono a fare altro, altrimenti si sentono frustrati. Per i bassi stipendi innanzitutto ma soprattutto per la bassa considerazione sociale degli insegnanti. Questo tema dell’ambizione dell’insegnante frustrato e’ tipico di Starnone. Elena (Lenuccia o Lenù) Greco, nata nell’agosto del 1944 (Starnone e’ del 1943) cioe’ colei che racconta in prima persona le vicende narrate nella tetralogia dell’amica Geniale, ama scrivere, poi intende lavorare come insegnante ma poi l’ambizione e la Storia la portano alla docenza universitaria. Il rapporto simbiotico tra le due amiche le porta a considerare geniale solo l’altra. Secondo Lila è Elena Greco, detta appunto Lenù, unica femmina del quartiere a frequentare le scuole medie, poi il ginnasio e ad arrivare in prima liceo classico con la media del dieci. Secondo Lenu’ geniale e’ invece Raffaella da lei chiamata Lila. Lila sapeva già leggere a tre anni ma si è poi fermata in quinta elementare, è stata una ragazzina troppo magra e «cattiva», pervasa da una mente indomabile che l’ha portata a imparare da sola inglese, latino, greco, poi, figlia di un calzolaio, a inventare scarpe mai viste prima, e a diventare, ormai a sedici anni esplosa in una bellezza tutta sua, la Jacqueline Kennedy del quartiere, pronta a sposarsi con Stefano, l’agiato salumiere.

Ora, tutti i tempi, le persone e i luoghi di ambientazione del romanzo di Starnone “Via Gemito” del 2000 riportano ai romanzi della Ferrante, non ho mai avuto nessun dubbio. Sono ripeto solo un lettore occasionale, non sono niente altro, ma tutti i temi, le insoddisfazioni, l’atmosfera che appaiono nella quadrilogia dell’Amica sono gia’ presenti in “via Gemito”, che è la storia (spesso verbosa e prolissa) di un uomo che se non avesse avuto una famiglia sarebbe diventato un grande pittore, questa almeno sarà la convinzione di tutta la sua vita. Federì è un artista, ma deve fare il ferroviere, e al mondo non potrà mai perdonare il destino scelto per lui. E se la prende con la moglie, una donna soffocata nel ruolo di sarta e madre, e con i figli. Ed è uno di loro, il primogenito, a raccontare questa figura di padre verboso e rancoroso, violento con le mani e con le parole. Fa il ferroviere per necessità, ma per l’arte è capace di smuovere mari e monti. La sua vita è alla continua ricerca dell’approvazione, del riconoscimento artistico. Le difficoltà economiche e artistiche sono ostacoli, percio’ si scaglia spesso contro moglie e figli che gli impediscono l’arte, ciò che potrebbe diventare. Nei libri di Starnone e in quelli della Ferrante ci sono personaggi insoddisfatti che vogliono diventare altro da se’, che di continuo se la prendono con gli altri, con il sistema, con Napoli, con la politica, perche’ ostacolano questa loro ambizione, questo loro genio artistico. Starnone quando insegnava nelle scuole, come Federi’ che faceva il ferroviere per mantenere la famiglia, voleva fare lo scrittore ritenendo di essere un artista, non un burocrate alle prese con gli adempimenti formali e le riunioni collegiali delle scuole. La sua stessa ambizione ce l’ha anche Lenu’.

Se affianchiamo Starnone e Ferrante si crea un doppio, come un doppio si e’ creato tra Domenico e sua moglie Anita. La Raja, traduttrice sessantatreenne per l’E/O che è editore della Ferrante, ha natali partenopei, ma dal capoluogo campano se n’è andata presto. Ad appena tre anni, con un fratello minore e una mamma che, insegnante di tedesco nata in Germania ma ebrea di origine polacca, è scampata ai soprusi nazisti, si è trasferita a Roma. Dove tutt’oggi vive.

Qua e la’ nella tetralogia ha disseminato piccoli indizi. Nino, personaggio di cui è innamorata l’Elena de L’Amica Geniale, sarebbe il vezzeggiativo di suo marito Domenico. La Normale di Pisa, frequentata dalla sua prima donna, sarebbe descritta così come emerge dai racconti della figlia Viola Starnone, studentessa dell’istituto. Il nome di Elena e la scelta dello pseudonimo dipenderebbe dall’amore che la Raja ha nutrito per Elena Raja, zia da parte del padre Renato, magistrato partenopeo. Infine, la Raja avrebbe mutuato dalla letteratura di Christa Wolf, scrittrice tedesca di cui è traduttrice, temi ricorsi poi nell’intera saga dell’Amica. A svelarlo, sono studi compiuti da tanti ma vale quel che disse una volta la Ferrante stessa: “I libri non hanno bisogno di autori, una volta che sono stati scritti”.

A proposito del doppio si legga quel che scrive Giulio Savelli (Il doppio moltiplicato. Una prospettiva sull'”Amica geniale” di Elena Ferrante):

“Il gioco del doppio appartiene a Elena Ferrante non meno che all’Elena di Euripide. Quando parla di sé – in particolare nella Frantumaglia – Ferrante (ma al suo posto si puo’ leggere Starnone che e’ il suo doppio, ndr) costruisce la propria biografia prendendola a prestito da quelle dei suoi personaggi: accreditando tacitamente l’opposto, cioè l’aver dotato i personaggi di elementi autobiografici. Non conoscere la direzione del riflesso crea due specchi contrapposti.

Il doppio forma, così, una fuga, una prospettiva ad infinitum. La forma fugata ha le sue ragioni in quelle stesse dell’Elena di Euripide – la possibilità che offre il gioco letterario al corpo dell’autore di essere altrove rispetto al nome: offre la libertà. Individuare una biografia reale dietro il fantasma, del resto, non ne modifica la natura di doppio né può abolirla. Per questa ragione, il sapere o il ritenere di sapere chi sia ad aver creato Elena Ferrante e i suoi testi non riesce a sollevarsi dall’ambito modestissimo e un po’ imbarazzante del pettegolezzo”.

Elena Ferrante non è un comune pseudonimo, e neppure un nome-paravento dietro cui nascondersi in silenzio: è un autore, ma è fatta di nuvole non meno di Elena di Troia – è una sorta di doppio. Questa è l’unica ragione per cui non si palesa, perché non ha corpo. Ciò non è identico affatto all’essere reticenti o allo stare nell’ombra“.

Perche’ Starnone abbia avuto bisogno di costruirsi un doppio l’ho gia’ spiegato, per conquistare la liberta’. E il pettegolezzo non c’entra nulla, c’entra eccome la stupidita’ del mondo culturale italiano che ama le scorciatoie, che incasella, che adora il politicamente corretto del tempo, che non guarda mai alla luna ma solo al dito che la mostra.

Nella quadrilogia il doppio rappresentato da Elena Ferrante si proietta in Elena Greco. Ad apertura dell’Amica geniale il lettore trova una citazione dal Faust di Goethe posta in esergo:

IL SIGNORE: ma sì, fatti vedere quando vuoi; non ho mai odiato i tuoi simili, di tutti gli spiriti che dicono di no, il Beffardo è quello che mi dà meno fastidio. L’agire dell’uomo si sgonfia fin troppo facilmente, egli presto si invaghisce del riposo assoluto. Perciò gli do volentieri un compagno che lo pungoli e che sia tenuto a fare la parte del diavolo.

Infine nel breve capitolo 27 della Storia di chi fugge e di chi resta, Lenù, riflettendo sul proprio scrivere la storia di Lila e della loro amicizia, dice:

Anche quando sono vissuta in altre città e non ci incontravamo quasi mai e lei al solito non mi dava sue notizie e io mi sforzavo di non chiederne, la sua ombra mi pungolava, mi deprimeva, mi gonfiava d’orgoglio, mi sgonfiava, non permettendomi d’acquietarmi. Quel pungolo, oggi che scrivo, mi è ancora più necessario. Voglio che lei ci sia, scrivo per questo. Voglio che cancelli, che aggiunga, che collabori alla nostra storia […].

Viene, così, stabilita una particolare relazione fra l’autore modello Elena Ferrante e voce narrante: le due voci si sovrappongono distinguendosi, ovvero presentano un punto di vista sulla storia duplicato e gemello. Le due Elene la pensano allo stesso modo, si direbbe, eppure si disgiungono. Cosi’ come si sovrappongono Starnone ed Elena Ferrante (o Starnone e la moglie Raja), ciò che spicca tra i due risulta essere l’identità del punto di vista, che si manifesta, perciò, duplicato.

“Elena Greco ha a sua volta un doppio in Lila. In questo caso, più che di un doppio in senso stretto, si tratta di una coppia complementare e oppositiva, analoga appunto a quella di Faust e Mefistofele, ma con un’accentuazione, rispetto a questa, del carattere speculare. Elena e Lila non provengono da due universi distinti come Mefistofele e Faust, ma dallo stesso, in una sorta di gemellarità: appartengono allo stesso rione, allo stesso ceto, sono coetanee e compagne di classe, sono unite dallo stesso destino sociale assegnato, sono amiche intime, si specchiano l’una nell’altra durante l’intera vita. Nel corso della storia si manifesta una sorta di trasfusione della genialità di Lila ad Elena, che dall’amica riceve per osmosi idee e slancio creativo. Come è stato osservato, chi sia l’amica geniale non è, però, affatto ovvio. Se al principio è senz’altro Lila, poi è lei stessa ad attribuire a Lenù, esplicitamente, la qualifica di “amica geniale” (e, del resto, i fatti lo confermano)”.

Insomma, secondo me, il gioco vero e’ stabilire chi tra Starnone e sua moglie Anita sia il vero genio.

PAOLO DE STEFANO L’invisibilità di Elena Ferrante è una lunga storia, non priva di fascino al punto da diventare mito letterario. Più dei vari Salinger, Pynchon e altri, che pur essendo persone pubbliche (scrittori pubblicati) hanno evitato per tutta la vita di apparire, Ferrante è stata (è) un paradosso. Ha rilasciato interviste (ovviamente via mail) sulla letteratura e sulla sua visione del mondo, ha seminato tracce talvolta depistanti sulla sua biografia (nata a Napoli e residente per anni in Grecia), è intervenuta nel dibattito pubblico, ha tenuto rubriche di attualità, ha firmato appelli. Sempre con quello pseudonimo o nome d’arte che coniuga la passione (più volte espressa) per Elsa Morante e l’allusione (ironica?) all’editore Sandro Ferri che con Sandra Ozzola fondò nel 1979 la e/o, destinata a diventare famosa nel mondo proprio grazie alla oscura narratrice napoletana. Che in una lettera inviata all’editrice Ozzola confessò: «Io credo che i libri non abbiano alcun bisogno degli autori una volta che siano stati scritti».

Soprattutto, dal suo esordio, avvenuto nel 1992 con il romanzoL’amore molesto , Elena Ferrante ha creato una frattura nel mondo letterario prima ancora che nella critica: da una parte chi rivendicava l’indipendenza dell’opera dalla biografia; dall’altra quelli che accusavano l’autrice (o l’autore) di aver fatto del suo mistero un motivo efficace di marketing che ha inevitabilmente contribuito al successo.

Dopo lo stupore iniziale, gli schieramenti critici, specie con l’uscita della quadrilogia de L’amica geniale a partire dal 2011, erano sostanzialmente tre: gli entusiasti ostinati, i tiepidi ostinati, i detrattori ostinati. Tutti ostinati. Le ultime due categorie, come spesso avviene quando si tratta di successi popolari conclamati, sono cadute nel sospetto di essere animate da snobismo o da invidia. La domanda su Ferrante è dunque doppia: da un lato sulla questione dell’invisibilità, da un altro sul valore dell’opera, che adesso viene celebrato ai massimi livelli dal «New York Times» fino ad apparire come un verdetto in qualche modo definitivo. Fatto sta che rimane aperto il gioco sull’identità, che i sacerdoti della Letteratura con la maiuscola additano come gusto inveterato del gossip o dello scandalo invitando i «curiosi» a farsi da parte. D’altro canto, come diceva Beniamino Placido a proposito di Chi l’ha visto? , se uno ha tutto il diritto di sparire, gli altri hanno tutto il diritto di cercarlo.

Così, sulle prime sono saltati fuori nomi improbabili, come quelli di Goffredo Fofi, di Michele Prisco, di Fabrizia Ramondino, di Erri De Luca. Poi sempre più, rimanendo in area napoletana, si è passati a Domenico Starnone e a sua moglie Anita Raja, traduttrice dal tedesco, ambedue amici degli editori. I quali nel 2010 ricordavano così le ragioni per cui si impose lo pseudonimo «Quando ci portò L’amore molesto si pose un problema serio: siccome il libro trattava di argomenti delicati sul piano biografico, non voleva che comparisse il suo vero nome. Fu lei stessa a proporre Elena Ferrante. La cosa nacque seriamente, ma dopo ci siamo molto divertiti, con i vantaggi e gli svantaggi che ne derivavano».

Negli anni, l’ipotesi di un lavoro a più mani (quattro, sei, otto…) è stata avvalorata dalla difformità dei libri firmati Ferrante: già tra il primo e il secondo, I giorni dell’abbandono, arrivato dieci anni dopo, il linguaggio presentava scarti notevoli che però si possono mettere nel conto delle normali variazioni stilistiche d’autore, mentre con la quadrilogia si entra in una narrazione meno coerente all’interno della serie e soprattutto rispetto ai libri precedenti.

Già nel 2005, lo studioso Luigi Galella pubblicò sulla «Stampa» un saggio in cui mostrava significative coincidenze con Starnone, in particolare tra il romanzo d’esordio e Via Gemito. Da allora Starnone, di fronte all’insinuazione, non si sottrae a un visibile disappunto. Poi vennero i primi sondaggi digitali (algoritmici): quello dell’Università di Roma anticipò tutti, orientandosi con percentuali superiori al 90 per cento sempre verso la stessa identificazione. Il 2016 è stato un anno chiave. Fu il filologo Marco Santagata su «la Lettura» a mettere in campo il nome della studiosa napoletana di storia sociale Marcella Marmo, deducendolo da alcuni riferimenti cronologici e topografici, presenti nella quadrilogia e relativi alla vita degli studenti della Normale di Pisa prima del 1968: ricordi precisi evocati, nella narrazione, dalla scrittrice Elena, detta Lenù, e attribuibili solo a una «normalista» che aveva vissuto direttamente quegli eventi.

Nonostante le ferme smentite dell’interessata (Marmo) e dell’editore, la ricostruzione di Santagata sembrava molto stringente, ma nel giro di qualche mese, nell’ottobre 2016, arrivò l’inchiesta di Claudio Gatti, che sul « Sole 24 Ore» rivelava di aver indagato, in obbedienza al classico metodo follow the money, nei movimenti economici della casa editrice e nei versamenti fatti da questa ad Anita Raja per non specificate collaborazioni. Sia i conti della e/o sia quelli della traduttrice si erano impennati incredibilmente anno dopo anno, avvalorando l’ipotesi che quelle cifre non fossero altro che diritti d’autore della sedicente Ferrante (a questo punto probabilmente identificabile nella coppia Raja-Starnone, senza escludere ulteriori mani). Ne venne fuori una polemica internazionale sul diritto alla privacy. L’editore Ferri censurò come «disgustosa» la morbosità di una ricerca che «tratta le scrittrici come camorriste…».

Di fronte a quell’evidenza, comunque il mistero rimane perché deve rimanere a beneficio del gioco globale. Vennero poi indagini molto serie, estranee a ogni sospetto di morbosità, come quella dello studioso Simone Gatto (un altro felino dal fiuto finissimo), dell’Università di Palermo, che nel 2018 su «la Lettura» dimostrò le numerose corrispondenze tra Via Gemito e la quadrilogia ferrantiana, il sistema di personaggi, i rimandi biografici, le somiglianze delle storie familiari, la coincidenza dei luoghi e degli oggetti. Poi vennero altre indagini algoritmiche: quella stilometrica del centro di Martigny «OrphAnalitics», che indaga sugli elementi minimi del linguaggio, arrivò alla stessa conclusione. Piaccia o non piaccia, anche per la Svizzera Ferrante è Starnone. Così come è Starnone per il centro di Filologia Cognitiva romano di Paolo Canottieri e per i linguisti dell’Università di Padova Michele Cortelazzo e Arjuna Tuzzi. Chiedere di tirar giù la maschera non ha più senso.