L’Invalsi certifica che finisce la scuola dell’obbligo un 45% di ragazzi che non sa ragionare

La scuola italiana è costretta a fare le nozze coi fichi secchi dei dati Invalsi, sforzandosi di intravedere, fra le righe, tendenze di miglioramento quasi subliminali. La triste notizia è che, in realtà, non c’è la notizia. Come l’anno scorso, e l’anno prima ancora, il meritorio lavoro dell’Invalsi ottiene due risultati: certifica in modo matematico che le promozioni non corrispondono all’effettiva acquisizione di competenze; suggerisce timidamente che, per una persona in ogni classe, la scuola non serve a nulla. La dispersione scolastica implicita – di chi conclude il ciclo di studi senza averne tratto alcuna competenza – si attesta infatti sul 6,6%, pur dopo anni ruggenti in cui era all’8,7 per cento e al 9,7 per cento.

Ecco i numeri, nella loro scarna spietatezza. Sono stati esaminati 2,5 mln di alunni, ossia tutti gli italiani ai passaggi decisivi della loro carriera scolastica: seconda e quinta elementare, terza media, seconda e quinta superiore. Di tutti loro è stato esaminato il conseguimento delle competenze minime per comprendere un testo in italiano, azzardare calcoli matematici e cavarsela con l’inglese. In effetti c’è motivo di esultare, a patto di avere una lente d’ingrandimento: la percentuale dei decenti in Italiano è salita dal 51 al 56 per cento in quinta superiore e dal 74 al 75 per cento in quinta elementare; in Matematica, dal 50 al 52 per cento in quinta superiore e dal 64 al 67 per cento in seconda elementare. Il buco nero restano però le medie, mistero inglorioso dell’istruzione nostrana nonostante il roboante battesimo a “scuola secondaria di primo grado”; la linea di galleggiamento viene raggiunta in Italiano dal 60 per cento (contro il 62 per cento del 2023) e in Matematica da uno stabile 56 per cento.

I guai arrivano col leggere i dati in termini assoluti. Nonostante la composta pudicizia del comunicato stampa, l’Invalsi sta confermando che ci siamo rassegnati all’idea che un quarto degli alunni finisca le elementari senza sapere l’italiano e un terzo senza saper far di conto; che le medie intervengano ad abbattere ulteriormente il numero di quelli che in qualche modo ce la fanno; che la scuola dell’obbligo si concluda a 16 anni con un 38% di persone sostanzialmente analfabete e un 45% di ragazzi incapaci di affidarsi ai ragionamenti astratti logico-matematici; che più o meno metà degli studenti arrivi in quinta superiore facendo schifo sia in italiano sia in matematica.

Anche l’unica apparente buona notizia, a ben guardare potrebbe non rivelarsi tale. Le capacità di ascolto e lettura in inglese sembrano progredire: in quinta superiore ce la fa rispettivamente il 45 e il 60 per cento, in terza media il 68 e l’82 per cento, in quinta elementare addirittura l’86 e il 95 per cento. Al netto dell’incremento della complessità della lingua, pare che stiamo allevando una generazione di anglofoni; il dubbio è se lo stia facendo la scuola. A sottoporre i ragazzi a una sempre maggiore, e sempre più precoce, esposizione alla lingua inglese sono soprattutto lo streaming e il web, tramite quegli stessi dispositivi che la scuola vuole contrastare e bandire.