Zeru tituli/La riconferma di Von der Leyen e la doppia sconfitta di Meloni

Ursula von der Leyen è stata rieletta ieri alla guida della Commissione europea con una maggioranza ben più consistente di quella ottenuta nel primo mandato, grazie in particolare all’ingresso dei Verdi, e senza i voti di Fratelli d’Italia, che pure hanno tenuto le carte coperte fino all’ultimo, evidentemente nell’illusione di riuscire a strappare chissà quali concessioni. O forse semplicemente nel disperato tentativo di non far capire troppo chiaramente che l’unica alternativa rimasta loro era tra accordarsi e isolarsi. In pratica, dopo avere minacciato di buttarsi dalla finestra se non avessero ottenuto quel che volevano, non hanno ottenuto niente e si sono buttati, e solo in questo senso può essere accettata la versione secondo cui la loro scelta sarebbe stata dettata dalla coerenza. Ma il tentativo di dire, adesso, che l’uva era acerba, che è stata Von der Leyen a compiere chissà quale voltafaccia sul green deal (di cui è stata peraltro una sostenitrice della prima ora) e tutto il resto del campionario di argomentazioni salviniane (con la non piccola differenza, però, che Matteo Salvini quegli argomenti li ripete da due anni, anzitutto contro Meloni) non basta a nascondere la delusione di una destra che appare piuttosto verde di rabbia.
La destra la butta sul green deal e rivendica la propria coerenza, ma è verde di rabbia
Come scrive Christian Rocca nel suo editoriale, la verità è che «la furbata di giocare di sponda con Ursula, ma mantenendo il legame con le radici sovraniste della destra nazionalista, ha lasciato Meloni con il proverbiale cerino acceso, zeru tituli di qua e mezza traditrice di là, facendosi fregare dall’amico Viktor Orbán e addirittura da Matteo Salvini, ovvero non superando il grado zero della difficoltà politica mondiale». Non bastasse l’evidenza dei fatti, lo testimonia anche il consueto video-monologo con cui la nostra presidente del Consiglio, ben attenta a schivare i giornalisti, ha voluto spiegare le sue ragioni. «Siamo rimasti coerenti con la posizione espressa nel Consiglio europeo di non condivisione del metodo e del merito», ha scandito. Quand’è così, poteva dirlo prima: tanti amichevoli osservatori si sarebbero risparmiati le previsioni avventate di ieri e soprattutto le faticose retromarce oggi. Ma la serena fermezza rivendicata da Meloni nel video, a dirla tutta, contrastava non poco con una certa carenza di fiato che ne appesantiva l’eloquio, apparentemente non così rilassato. La dichiarazione più illuminante resta comunque quella affidata alle agenzie da Nicola Procaccini, eurodeputato di Fratelli d’Italia e copresidente del gruppo dei Conservatori e riformisti: «Noi restiamo quelli che siamo». Appunto.