Scuola reale/Quel che i proff dicono delle Uda e che la stampa nasconde

Da Orizzonte scuola, Forum 2022 (alessandra s.) Mi è stato detto che da quest’anno, non so se solo nella mia scuola o dappertutto, dobbiamo programmare per le classi prime con le UDA (Unità d’Apprendimento).
Pensavo di prepararmi qualcosa nel week-end, modificando la programmazione dell’anno scorso, ma vedo che le programmazioni che trovo sui siti delle scuole, per ispirarmi, sono tutte multidisciplinari. Nei c.d.c. non ne abbiamo parlato affatto. Vi risulta che si possa fare una programmazione per UDA sensata a livello individuale?
(paniscus) Svolgi dei normalissimi argomenti didattici, o moduli, o sotto-moduli, come hai sempre fatto. E poi scrivi sui documenti (programmazione iniziale, oppure relazioni finali) che quella cosa che hai fatto o che hai intenzione di fare non si chiama “lezione”, o “serie di lezioni”, o “modulo”, o “sotto-modulo”… ma si chiama “unità di apprendimento”. Dopo di che, sei a posto. Gli argomenti li hai svolti davvero, li hai valutati davvero e gli alunni li hanno affrontati davvero, quindi di cosa hai paura?
(giovanna onnis) Programmare per UdA non è proprio come dici tu Paniscus. Ma tu proponi una normale e classica programmazione sostituendo il termine “lezione” con “unità di apprendimento” cosa che mi sembra una “maschera” per niente efficace in quanto di Uda non c’è neanche l’ombra.
Per usare il termine che utilizzi tu, trovo più “dignitoso” dire che non programmo per UdA, ma per argomenti secondo un modello classico, senza girare intorno alle parole. Non condivido il consiglio che dai ad Alessandra
(paniscus) Lo so benissimo che “non è proprio come dico io”, ma continuo a pensare che quello che dico io, per quanto non perfetto, sia un modo dignitoso per uscirne con il male minore. Veramente io penso che la maschera ipocrita stia proprio nel concetto di “unità di apprendimento” in sé.
Cioè, l’obbligo (o comunque le pressioni) per far finta di usare termini e metodologie innovative, che poi comunque si traducono sempre nella cara vecchia attività di “fare lezione”.
Comunque la si voglia chiamare per dimostrare di essere innovativi, sempre una lezione rimane.
Se ci costringono ad ammantarla di terminologia alternativa, possiamo pure farlo, ma sempre di una lezione si tratta.
Perché dobbiamo far finta di credere DAVVERO il contrario?
(erodoto) Sottoscrivo. Chiamale unità didattiche, unità di apprendimento, moduli, percorsi ecc. sempre della medesima cosa stiamo parlando.
Se le riforme si fanno a colpi di nomenclature e sovraccarico di burocrazia per noi l’unico modo per aggirare l’ostacolo e difendersi da questa pazzia è adottare le nuove nomenclature per farli contenti. Un buon insegnante non si perde in discussioni pseudo pedagogiche e filosofiche sul nome da dare alle attività che propone, cerca di fare il suo lavoro al meglio.
Detto questo lasciamo che schiere di innovatori e “professionisti” della didattica continuino a proporre e propinare i loro metodi “innovativi”, d’altro canto devono pur lavorare per vivere anche loro.
(elirpe) Otto anni fa in una delle scuole dove avevo il contratto annuale sorse la “febbre dell’UDA”. Tale metodologia avrebbe risolto le problematiche dell’umanità intera e consistevano in Unità interdisciplinari costruite in collaborazione tra le diverse materie (Mi ricordo ad esempio che una di queste era “la cottura dei cibi” in Enogastronomia, Storia, Alimentazione); la cosa proseguì stancamente per l’intero anno con pochi reali momenti di programmazione e coordinamento e l’anno dopo non se ne parlò più, fu più che altro una questione documentata e archiviata.

(herman ) Secondo me la metodologia per unità di apprendimento non funziona.
Non produce significativi miglioramenti negli apprendimenti (anzi spesso ottiene il risultato opposto) e costringe il docente a una afflittiva auto-burocrazia che non ha ricadute sugli obiettivi didattici.
Si basano su presupposti deterministici: io faccio questo in classe, ottengo questa risposta, vado avanti, non la ottengo, faccio il recupero… ecc, come se l’apprendimento potesse essere sintetizzato in un diagramma di flusso schematizzabile a priori in fase di programmazione.
Inoltre per essere fatte come si deve, anche nella parte interdisciplinare, richiederebbe confronti con i colleghi che esulerebbero di gran lunga le 40+40 ore e che necessitano di un clima relazionale ottimale all’interno della scuola: una cosa difficilissima di questi tempi, e che non si ottiene certo con le imposizioni.
Se la classe è motivata, c’è un buon clima e ci sono buoni elementi, funzionano bene i metodi tradizionali, i metodi innovativi, i metodi intermedi, i non-metodi…
Ma se la classe è demotivata, se i livelli di partenza non sono buoni, se il corpo docente non è coeso non c’è nessun metodo che migliori significativamente i livelli di uscita: solo buona volontà, motivazione e coerenza dell’insegnante possono ottenere qualche risultato parziale, ma tangibile.
Personalmente constato che, anno dopo anno, sono sempre più costretto a tagliare e andare al sodo, rinunciando anche ai fronzoli metodologici, perché le classi sono sempre meno capaci di attenzione e di coinvolgimento e gli stessi alunni sembrano sempre più preferire l’imparare a memoria la scemenza scritta sul libro che consegne più sfidanti.
(luna7) Io sono favorevole e mi sono servite come docente alla primaria.
Mi spiego, mi sono servite a riflettere meglio sulla teoria dei contenuti disciplinari che vado a proporre.
Il nostro ds alla ultimo collegio ha spiegato che il passaggo unità didattica/ unità apprendimento
è stato molto forte perché si passa dai contenuti alle competenze tenendo conto del contesto. Io sono d’accordo. Il mio ds ha lavorato una vita alle medie, non è un burocrate e ci tiene molto ai ragazzi.
Comunque da quando programmo con uda mi sento più consapevole e anche se costano un po’ di fatica a livello di “incartamenti” secondo me sono efficaci in primo luogo per i docenti. Certo bisogna crederci, se uno la vede come la ennesima imposizione e pensa “comunque in classe faccio la lezione che decido” non servono.
Aggiungo che alcune noi non le produciamo singolarmente ma insieme al videoproiettore in incontri dedicati e quindi le discutiamo tra colleghe e a fine anno le rendicontiamo. Sempre insieme. Molto costruttivo.
(herman) non sono d’accordo, non è che si fanno le UDA perché il docente medio non riesce a fare una vera e decente programmazione in altro modo; e anche riguardo al passaggio contenuti / competenze ci sarebbe molto da dire, forse sarebbe il caso di arrivare tutti alla consapevolezza che senza i primi le seconde, semplicemente, non possono esistere.
Le UDA sarebbero una cosa bellissima nel mondo dei sogni, in una scuola completamente diversa.
Ho fatto e imparato a usare le UDA per il concorso, dopodiché nella scuola reale mi sono persuaso che non hanno senso.
(paniscus) luna7: Il nostro ds alla ultimo collegio ha spiegato che il passaggo unità didattica/ unità apprendimento è stato molto forte.

Addirittura “molto forte”! E magari voi ci avete creduto con ammirazione, annuendo commossi di fronte a tanto genio pedagogico e a tanto idealismo innovativo?!! Figuriamoci che io non solo considero fuffa assoluta la differenza tra le due cose… ma addirittura considero fuffa anche la differenza tra una qualsiasi di queste due cose e qualsiasi altra modalità di programmazione, dalle decine e decine di nomi sempre cangianti, che hanno tentato di imporci negli ultimi anni. Le pochissime volte in cui mi hanno fatto pressioni nel tentativo di farmi credere che fosse obbligatorio, ho fatto come dice herman, cioè mi sono limitata a consegnare piani di lavoro in cui si descrivevano esattamente le stesse attività che avevo intenzione di svolgere comunque, ma cambiando leggermente la nomenclatura, in modo da farli contenti (nel caso improbabile che qualcuno le leggesse davvero); quando non ci sono state nemmeno quelle pressioni, me ne sono fregata e non ho cambiato nemmeno la nomenclatura. E devo dire che di proteste e contestazioni sulla mia efficacia didattica non ne ho mai avute (contestazioni di altro genere e ripicche per altri motivi, quelle sì, ma sulla validità della mia didattica proprio no).
(erodoto) Le competenze le rottameremo definitivamente nel 2020. Nel 2010 feci una scommessa con un collega e sono certo di vincerla. La riforma dei professionali (la seconda in 8 anni sigh) è stato l’ultimo tentativo di rilanciare la didattica per competenze.
Tra l’altro recentemente qualcuno mi ha fatto osservare che di fatto pure la conoscenza è competenza.
Sono vent’anni che vorrebbero costringerci a parlare del nulla.

(luna7) Non ho capito il tuo messaggio paniscus.
Cioè in poche parole tu dici che la differenza la fa l’ insegnante e il suo stile di insegnamento e non la carta che a vario titolo compiliamo ?

(paniscus) Hai quale dubbio riguardo il fatto che l’insegnante conti 100 e la carta zero? Io nemmeno me lo pongo.Anch’io sono convinta che la bolla di fuffa scoppierà in tempi brevi, forse non proprio entro due anni come dici tu, ma entro quattro o cinque sì. E si ritornerà alle vituperatissime conoscenze dei contenuti, e addirittura all’odiatissimo insegnamento trasmissivo, come se niente fosse. (cioè, come se si potesse ignorare il fatto di aver affossato 20 anni di potenziale didattica, ossia quasi due generazioni di studenti, ormai già arivati all’età adulta e già rovinati).
(herman) sì, l’insegnante fa la differenza, il metodo che usa e la carta che compila no. Che poi neanche è così indispensabile che faccia la differenza, che spicchi, che faccia cose nuove e diverse: l’importante è che faccia il proprio lavoro raggiungendo gli obiettivi didattici ed educativi minimi, che fanno parte del nostro lavoro.
Purtroppo tra colleghi capita che ognuno vada un po’ per conto suo come impostazione didattica generale, con conseguente disorientamento degli alunni. Non so se fa casistica, ma nella mia esperienza in media le classi con docenti trasmissivi, nozionistici, vecchio stampo, purché bravi, sono quelle che raggiungono i risultati didattici ed educativi più alti. Quelle con docenti legati a un insegnamento per competenze ed esperienze sono quelle più indisciplinate e refrattarie all’impegno, a parità di livelli didattici e di scolarizzazione di partenza.