Certi amori non finiscono mai come quello tra Conte e Trump

Certi amori non finiscono mai e quello tra Conte e Trump ha resistito nel tempo. Il capo del Movimento e il leader dei Repubblicani hanno mantenuto saldo il loro rapporto, nato quando «l’avvocato del popolo» era alla guida del governo gialloverde e il tycoon statunitense era l’inquilino della Casa Bianca. Ma mentre Salvini — che allora era vicepremier — ha reso pubblica la breve ed estemporanea telefonata avuta di recente con «the Donald», Conte si è mosso con maggiore discrezione. Consapevole com’è che la liaison dangereuse vada tenuta riservata per ragioni di politica estera, di politica interna e anche di partito.

Non c’è dubbio però — come riconosce un esponente grillino — che l’ex premier stia «scommettendo sulla vittoria di Trump» alle presidenziali di novembre. La cautela induce Conte a gestire personalmente le relazioni con l’altra sponda dell’Atlantico, garantite dall’entourage del candidato repubblicano. «Sono suo amico», ha detto l’ex premier ad alcuni interlocutori, confermando il rapporto di cui si vanta.
D’altronde tra ex capi di Stato e di governo i legami costruiti durante la gestione del potere non si rompono. Specie se sono stati saldati da reciproci scambi di cortesia. Conte era da poco arrivato a palazzo Chigi quando acconsentì che il ministro della Giustizia americano parlasse direttamente con i Servizi italiani: Barr era giunto a Roma su mandato di Trump per ottenere informazioni su un presunto complotto ordito contro il presidente statunitense.

Un fatto senza precedenti. Come senza precedenti fu l’endorsement di «the Donald» per «Giuseppi» durante l’estate del Papeete. Conte non aveva ancora completato l’inversione a «U», passando dalla guida della coalizione gialloverde con la Lega a quella giallorossa con il Pd, che Trump rilasciò una dichiarazione a suo favore. Non era mai successo che Washington si inserisse pubblicamente nelle questioni interne di un Paese alleato, nel silenzio delle istituzioni nazionali.

Come non era mai successo che un presidente del Consiglio temporeggiasse senza complimentarsi con il vincitore delle elezioni negli Stati Uniti. La sera in cui Biden battè Trump nella corsa alla Casa Bianca, per ore palazzo Chigi rimase in silenzio. Finché il ministro della Difesa Guerini chiamò Conte: «Se non esci con una dichiarazione tu, esco io». Passò del tempo prima che la presidenza del Consiglio pubblicasse un comunicato anodino. E mentre Capitol Hill a Washington veniva devastata dai rivoltosi, in Parlamento a Roma il premier non faceva cenno al risultato americano, teorizzando invece «l’equivicinanza» dell’Italia agli Stati Uniti e alla Cina.

Che anni quegli anni: Trump non poteva dimenticarsene. Infatti due anni fa, in piena campagna elettorale per la presidenza del Consiglio, chiese di Conte a un giornalista di Repubblica: «Come sta andando il mio ragazzo? Ho lavorato bene con lui e spero faccia bene». Adesso non gli sta andando benissimo, «ma la stima verso Trump resta immutata», racconta un autorevole dirigente di M5S: «È un dato di fatto che i due la pensino allo stesso modo su certe cose. Prendiamo la guerra in Ucraina, per esempio: cosa possiamo farci se i democratici americani stanno con la destra italiana?».

Non è dato sapere in che modo l’ex premier potrà capitalizzare quel rapporto, nel caso di una vittoria di Trump. E se l’adesione di M5S al gruppo di estrema sinistra in Europa lo danneggerà. Il problema è che quella «zona di ambiguità» imbarazzerà Schlein, perché — spiega un rappresentante del Pd — «più si avvicineranno le elezioni americane, più emergerà la natura di Conte su temi populisti che non ha mai archiviato. Insieme a quella linea di relazioni che va da Trump a Xi Jinping, passando per Putin».

Per la leader dem che già si candida ad essere la Harris italiana, sarà complicato costruire una coalizione di governo con un fan di Trump. In più nel centrosinistra è arrivato Renzi, che si è prefisso di inchiodare Conte: «Niente veti, ma da che parte sta?». «Giuseppi» dovrà sfoggiare il suo miglior repertorio di non risposte per sfuggire alla domanda. E avanti coi popcorn.