La crisi dei partiti italiani e i costi che paghiamo a causa del bipopulismo

Non c’e’ peggior sordo di chi non vuol sentire. Ecco perche’ ci sono ancora tanti che rifiutano di guardare in faccia i guasti del bipopulismo, che pure sono sotto i nostri occhi. Come i 160 miliardi del Superbonus e facciate del governo Conte. Perché oggi sostenere che il Superbonus, che con i suoi 160 miliardi di costo è la peggiore misura di finanza pubblica della storia italiana, non ha alcun legame con l’aumento del debito è come affermare che la Terra è piatta. In questi anni, e per i prossimi, l’Italia spenderà decine di miliardi all’anno per pagare il Superbonus e questa è la principale ragione per cui il rapporto debito/pil crescerà anziché diminuire. È scritto, a chiare lettere, nel Def del governo, ma anche nei rapporti e nelle analisi della Commissione europea, dell’Fmi, della Banca d’Italia, dell’Upb e di chiunque sulla faccia rotonda della Terra sappia fare di conto.

Ma, oltre al Superbonus, c’e’ un’altra evidenza che molti si rifiutano pur dopo tanti anni di vedere. Il colpo di grazia al nostro sistema dei partiti venne dato, secondo Stefano Passigli,  “dalla decisione di Enrico Letta nel 2013 di abolire qualsiasi forma di finanziamento pubblico, per di più equiparando ai partiti anche le Fondazioni che svolgano attività politica”. Senza finanziamento pubblico e’ lapalissiano che uno come Berlusconi abbia potuto finanziarsi un suo partito personale cosi’ come faceva per la sua squadra di calcio.

Una terza evidenza fu il passaggio al maggioritario a un turno, che ha provocato in Italia la formazione di coalizioni disomogenee, tanto necessarie per la vittoria nei collegi ma poi profondamente divise all’atto del governare. La migrazione degli elettori almeno tra i partiti di una stessa coalizione ha cosi’ indebolito l’intero sistema partitico. Infine e’ di tutta evidenza che il colpo di grazia, il passaggio alle liste bloccate, operato nel 2005 da Calderoli con una «porcata» a danno degli elettori, ha contribuito alla generale caduta di partecipazione politica. Eppure ciononostante ancora oggi a sinistra si accettano come se fosse naturale e normale elezioni primarie aperte al voto anche di elettori non iscritti ad un partito, per cui molti elettori hanno perso ogni senso di «efficacia» della propria presenza ed azione.

Insomma, i partiti, come li abbiamo conosciuti  durante la prima Repubblica, non esistono piu’. La loro crisi, come ha bene sintetizzato Stefano Passigli, ha alcune cause strutturali, la prima e’ il  progressivo trasferirsi delle maggiori decisioni politiche dallo Stato nazionale ad organizzazioni sovranazionali (Ue, Nato, le molte agenzie dell’Onu, etc.), che hanno in tutti i sistemi politici spostato dal Parlamento al Governo il luogo delle decisioni rendendo così meno evidente la funzione dei partiti come necessari strumenti di rappresentanza degli interessi.
La seconda causa e’ il mutare della comunicazione politica e delle modalità di formazione dell’opinione pubblica, sempre più affidate ai social channels e sempre meno ai media tradizionali (TV, Stampa) e ai rapporti face to face nelle sezioni e circoli di partito.
Si pensi infine al trasformarsi di partiti che, prima formati in rappresentanza di un interesse di classe o economico ( i partiti socialisti o dei contadini) o su base etnica o territoriale ( Belgio, Catalogna, Paese Basco, Scozia e Irlanda), si sono trasformati in partiti interclassisti (catch-all parties) o con identità meno forti e quindi incapaci di stabilire con gli elettori legami duraturi. Gli elettori stessi sono divenuti quindi sempre più mobili spostando il proprio voto sulla base non di durature adesioni identitarie o fondate su stabili interessi, ma su sempre più temporanee issues, e cioè su singole questioni, come ad esempio i fenomeni migratori, il sistema pensionistico, i vaccini, la partecipazione all’Euro e all’Unione Europea, e così via, dando vita ad aggregazioni e maggioranze destinate di lì a poco a mutare.

Se queste ora esaminate sono cause storiche, c’e’ qualcosa che solo in Italia ha fatto franare i partiti storici molto di piu’ di quanto sia avvenuto all’estero. Il fenomeno definito della grande volatilità elettorale in Italia (ad es: il 41% raggiunto dal Pd di Renzi e poi rapidamente disceso al 18%; il 34% di Forza Italia sceso a poco più dell’8% e ora al 10%; percentuali identiche a quelle riportate dalla Lega di Salvini) non ha la stessa corrispondenza nelle  elezioni inglesi, tedesche, spagnole, portoghesi e greche dove, pur nel cambiamento, c’e’ stata una maggiore resistenza dei partiti storici.
Pertanto le ragioni della particolare debolezza dei partiti italiani risiede in una serie di errori compiuti dalla nostra classe politica nel modificare le leggi elettorali, e nell’abolire qualsiasi forma di finanziamento pubblico ai partiti: un uno-due micidiale. La coperta e’ troppo corta, e se tu la sposti esaltando il popolo e sacrificando la politica, i risultati non possono essere che questi. Se tu dai piu’ potere ai magistrati perche’ loro fanno valere la moralita’ (in nome del popolo italiano), se insomma cavalchi il famigerato schema buoni contro cattivi, il populismo vince e senza piu’ differenze tra destra e sinistra comporta sempre nuovi costi ai danni del paese e del suo debito pubblico.