Lamezia/Cambiare il come si fa scuola (la mia vera storia di Sara e Marco)

(24/9/19) Nella mia vita precedente di dirigente scolastico capitava spesso di incontrare genitori che mi chiedevano “Ma cosa gli imparate a mio figlio? Gli devo pagare io le tasse, non sa neppure pagare un bollettino alla posta, o chiedere un certificato al Comune” ( figuriamoci oggi chiedere lo Spid)! Mi dissi che dovevo fare qualcosa e cominciai così a fissare sulla carta una serie di “come”: come comprare un’auto; come ottenere un mutuo; come fare un ricorso… e così via. Lo slogan sarebbe stato: la scuola che vi insegna “come”. Guardando poi gli scaffali di una libreria vedevo una ricca manualistica pratica: Come imparare a parlare in pubblico; Come aumentare l’autostima…e così via. Tutte cose (importanti) di cui la scuola si disinteressa. Avevo pure letto che l’attore Harrison Ford in America da giovane si era messo in testa di fare il falegname. Aveva seguito un corso e c’era riuscito. In Italia si sarebbe comprato il titolo. Ho sempre pensato che il “saper fare” sia un compito degli istituti che rilasciano un diploma, mentre il gratuito e il disinteressato devono essere coltivati dal liceo classico (il sapere inutile di Nuccio Ordine). Il guaio di tutte le scuole è che i prof con la lezione frontale spiegano. Perchè lo fanno? Per abitudine, e le vecchie abitudini sono le più difficili da abbandonare. I ragazzi però non ascoltano più seduti 5 ore in un banco, mentre se gli fai fare qualcosa si entusiasmano, questa è la mia esperienza. Anche il mio elenco di “come” correva lo stesso rischio. Un prof invece di spiegare Torquato Tasso avrebbe spiegato “Come ottenere un mutuo”. Il problema non è “cosa” insegnare ma “come”. E per cambiare il “come” occorre collegare una scuola astratta che procede per vecchie abitudini (si è sempre fatto così) con le nostre vite reali. Quando a casa abbiamo un problema, talvolta grave, ci informiamo da chi ne sa più di noi. Avvocati, ingegneri, amici, preti, consulenti, notai, medici, quando ci servono ricorriamo a loro. Se due giovani devono sposarsi si informano sulle formalità del matrimonio, non fanno -prima- un esame di diritto canonico all’università. Se devo riparare un tetto non mi scirocco prima un manuale per geometri e uno per giuristi. La scuola italiana invece funziona in maniera assurda, l’ha spiegata bene Maurizio Tiriticco: se ti deve spiegare cos’è un dito, prima ti vuole spiegare l’anatomia umana, poi cosa sono gli arti, poi cos’è una mano e se arrivi alla fine capisci forse come si chiama quel dito. La scuola si dice va in profondità… Partendo dalla convinzione che il sapere deve essere, in un istituto tecnico, un  mezzo per affrontare la realtà quotidiana (dove delle istruzioni cartacee leggiamo solo l’essenziale per far funzionare un aggeggio), mi misi a pensare ad una famiglia nella quale i ragazzi potevano identificarsi. Alla mia famiglia Simpson italiana accadevano alcune cose e dunque, come si fa in famiglia, ci si informa, ci si consulta, si ricorre ad un esperto, ma al solo scopo pratico di non perdere tempo e ottenere un risultato. Se devo comprare un’auto io devo essere un cittadino (ecco l’educazione alla cittadinanza) in grado di capire quanto mi costa e le modalità di pagamento, senza essere sopraffatto dalle sorprese negative. Ah, se qualcuno a scuola m’avesse spiegato che l’anticipo non lo devi dare se prima non ti targano l’auto! Se ho bisogno di ricorrere ad una banca devo essere in grado di capire, altrimenti mi truffano. Per ottenere una carta Bancomat  (pag. 308 di un manuale) mi devo sciroppare tutte le pagine precedenti a cominciare da “L’attività finanziaria dei soggetti economici”? Ci siamo capiti. E se devo assicurare l’auto, ottenere un mutuo, fare un investimento, aprire un negozio, la scuola mi può mettere in condizione di capire? Oppure mi deve solo fornire conoscenze generali ed astratte, chiamate nell’insieme “cultura”, sino alla laurea? Soltanto dopo la magistrale i master e gli stage tentano di fornirti quel saper fare necessario per affrontare il mercato del lavoro. Insomma, la mia idea fu che un mattino in tutte le classi terze sarebbe arrivato (a sorpresa, perchè la vita è imprevedibile) un foglietto dove c’era scritto: «Sara e Marco hanno deciso di andare a vivere insieme. Vogliono trovarsi un appartamento da affittare. Non intendono spendere più di 250 euro al mese. Cosa fanno?  Nei prossimi dieci giorni ecco l’argomento intorno al quale studenti e proff collaboreranno». Non avrei indicato io quali proff (materie) dovessero partecipare, questo era un compito degli alunni. Insomma, classe e docenti si sarebbero interrogati: e adesso cosa facciamo? Da dove cominciamo? (che sono le stesse domande che ogni giorno ci poniamo nella nostra vita vera). Dopo 10 giorni, la classe 3A avrebbe compreso la prima cosa pratica da fare per trovare una casa in affitto in zona, aiutata in questo compito di realtà dai proff. disponibili, Tizio Caio e Sempronio. Gli altri prof avrebbero continuato a fare cosa sanno fare, imitare come possono qualche loro prof universitario, spiegare il libro,  interrogare e mettere voti finti. A me bastava questo: ottenere che in un certo modo la scuola si avvicinasse alla vita vera; far capire che studiare serve a migliorare le nostre vite, non a romperci le scatole sopra i libri. E soprattutto far questo soltanto con i proff disponibili senza imporre niente a nessuno. Le cattive abitudini si cambiano se le nuove funzionano

NB Dinnanzi ad un “compito di realtà” (così lo chiamano ora) i proff chiedono: E che c’azzecca con la mia materia? La risposta è la seguente: Immagina che nella tua famiglia tuo figlio intenda cercare un appartamento in affitto. A lui cosa gli dici? “Che ne so io? Io insegno…italiano, matematica, francese…” Immagina dunque di trovarti a scuola in una situazione reale, vera, concreta, che può capitare a chiunque, anche a te a casa tua. Che fai? Apprendere serve ad affrontare gli imprevisti, sennò che scuola è ? (Sa utilizzare le conoscenze in situazioni nuove, voto 10). Ripetere per 30 anni Torquato Tasso, che noia mortale.