Ninnuzzo Pauli ha accompagnato la nostra giovinezza e ci ha lasciato adesso che abbiamo l’età della pensione. Con la sua edicola, con i suoi giornali è stato il nostro punto d’incontro, una specie di ritrovo per gente un po’ viziosa, quella che legge i giornali.
Anche lui leggeva e commentava e dialogava, per cui il nostro dialogo è andato avanti nel tempo sino a diventare familiare. Ninnuzzo è stato un nostro zio, un parente, una persona alla quale abbiamo voluto bene senza smettere mai sino all’ultimo giorno.
Gli si voleva bene per la sua gentilezza, una qualità che sta scomparendo come certe piante rare, per la sua intelligenza, viva, curiosa, per la sua onestà che era amore per il lavoro dignitoso e per la sua famiglia. La sua edicola era posta davanti al liceo per cui io e i miei amici ci ritrovavamo lì, da Ninnuzzo.
Era la chiesa del nostro villaggio, piccola, ingombra di giornali e riviste, quando si trasferì vicino la Maggiore Perri era finita un’epoca. Eravamo ormai adulti ed era finita la sbornia ideologica degli anni settanta e ottanta. I suoi amici sono stati sempre tanti e fedeli, e la cosa non mi ha mai meravigliato.
Io sono convinto che chi va all’edicola a comprare un giornale aderisce ad una confraternita. Non è segreta, non è pericolosa, anzi è mansueta. Chi è abituato sin da piccolo a informarsi sui fatti apprende il rispetto per la realtà e per gli altri. Non condivide la cultura del “sentito dire”.
Ninnuzzo è stato il nostro capo-confraternita, il più rispettoso di tutti, il più mansueto, il più umile di tutti. Ma nessuno si dispiaccia, Ninnuzzo resterà per sempre lì, si muoverà tra la panchina e l’edicola, osserverà le sue figlie e i suoi fratelli, tranne la domenica pomeriggio.
E lo vedremo ancora fare il gesto più pacifico che un uomo possa fare, sfogliare un giornale e indicare con il dito un articolo. Adesso vi faccio leggere una cosa, ci dirà, dopo aver preparato il mattino presto la sua rassegna stampa personale. Grazie, Ninnuzzo, per la tua amicizia e il tuo affetto smisurato.