(Le stagioni della nostra paura, di Alessandro Piperno, La Lettura, 1/3/2020) Se avessi avuto il buonsenso di spegnere la tv mentre l’anchorman di turno, con voce truce e squillante, m’informava che la situazione era gravissima, senza precedenti, che non bisognava farsi illusioni perchè la vita oramai non sarebbe mai più stata quella di prima, forse avrei trovato la forza di non drammatizzare e di affidarmi anima e corpo alla prudenza degli esperti e al fatalismo raccomandato da uomini saggi come Seneca e Montaigne.(…)
Ciò che inizia a venirmi a noia è il modo oracolare con cui la paura viene propagata. Non voglio più ascoltare chi mi dice che il declino è irreversibile. Chi mi intima di tracannare due bicchieri d’acqua ogni ora altrimenti non arriverò a sessanta anni. Chi scuote la testa assicurandomi che è andata, che sì, ci siamo divertiti, ma è tempo di prepararsi all’Armageddon. Non sopporto più l’intellettuale passatista che, venendo meno alla sobrietà imposta da ogni ragionamento articolato, rimpiange età edeniche in cui la gente era buona, sana e felice. Ne ho fin sopra i capelli del professionista dell’Apocalisse e di chiunque gli offra una tribuna da cui divinare disgrazie all’ingrosso.