Anche se siamo nati lo stesso giorno di Di Pietro, di Sivori e Brigitte Bardot, il 2 ottobre, io non sono Massimo Gramellini (cura la rubrica “Il caffè”sul Corriere della sera), è chiaro? L’altra cosa che ci accomuna è il fatto di occuparci di tutto, scrivendo di calcio e politica, cinema e letteratura, arti e lettere. In più lui ha una trasmissione tv, la posta del cuore con i lettori e una produzione letteraria che ha generato anche un film. Lui ha innovato sulla stampa il corsivo che Fortebraccio sull’Unità aveva reso un genere importante, è un tifoso del Toro ed è amico di Cairo che ha ritrovato proprietario del Corriere della sera. Ah, dimenticavo, lui ha fatto di tutto questo un lavoro ben remunerato, io soltanto un blog per hobby: ecco la differenza tra me e lui, sul mercato lui vale e io no. Ecco, siamo giunti al punto. Io dovrei allora odiare il mercato, prendermela con il liberismo, scagliare strali contro il merito che questa società non riconosce, con i soliti noti che spaziano tra giornali, televisioni ed editoria formando un network che un loro astuto agente governa. Niente di tutto questo, io vorrei ancora più mercato e concorrenza, e sapete perchè? Perchè chi è fuori mercato come me non può prendersela con nessuno. Il mercato è una parola che ai marxisti non è mai piaciuta, la considerano un’entità malefica (infatti i sovietici e Lenin lo abolirono), in realtà ciascuno di noi nel suo piccolo con le sue scelte costituisce il mercato. Tutti quelli che comprano i libri di Gramellini e leggono i suoi corsivi e lo guardano in tv, sono il mercato. E se nessuno sa chi sono io, credetemi, non significa che sono un incompreso.