La vita di relazione futura con le misure di prevenzione prescritte si può racchiudere nel titolo di un film del 2015 tratto da un romanzo di fine ottocento “Via dalla pazza folla”. Quella che negli anni ho sempre considerata una mia strana fissazione adesso è diventata “il problema sociale”. Per farmi capire con un esempio, mi sono sempre chiesto se si potesse fare qualcosa a Lamezia per rimediare alla ressa di genitori che aspettano i bimbi all’uscita da scuola quando piove (ma anche quando c’è il sole). Si pensi che già adesso negli asili riaperti nel Nord Europa (il Veneto ci sta pensando) i genitori non possono entrare e neppure fermarsi a chiacchierare alla porta o nei parcheggi. E’ il modello norvegese: all’entrata c’è il termometro, dentro ci si lava le mani per un minuto, cambio scarpe all’ingresso, orari e turni stabiliti, piccoli gruppi il più possibile all’aperto. Per questo l’uscita di mille studenti dalla scuola che dirigevo l’avevo regolamentata con orari diversi tra i due piani e porte distinte per i flussi, ma l’imbuto di auto in doppia fila, pedoni, alunni e genitori che vedevo sulla strada mi sembrava un problema irrisolvibile. Adesso ci siamo. Quello che in mezzo secolo ci siamo rifiutati di pensare e fare ora lo dobbiamo fare tutto e in tempi stretti. La riorganizzazione degli orari di una città era una esigenza prima (se ne parla e scrive da venti anni) adesso è un imperativo. Siete mai stati al centro commerciale Due Mari alle diciassette di una domenica? Era un bel vivere quello? Io non lo rimpiangerò, ma forse sono strano. All’improvviso, senza preparazione, si devono regolamentare treni, autobus, metro, scuole per realizzare il distanziamento. E’ una scommessa con una posta altissima perchè quelle che sono le più dure a morire sono le nostre abitudini, che tenteranno di sopravvivere anche al coronavirus. E’ finito l’orario di lavoro unico, ora ogni azienda o classe o gruppo avrà il suo orario personale, di mattino o pomeriggio. Quando piove il genitore tipo vorrà sempre entrare alle elementari e prendere per mano il bimbo. Siccome agli italiani la fila non piace è chiaro che con l’uscita alle 13 sin da mezzogiorno ci saranno richieste di uscite anticipate. Cambieranno tutti i luoghi di lavoro. Per esempio cambierà il lavorare e vivere l’ospedale e gli spazi: checkpoint con rilevazione della temperatura ed igienizzazione delle mani agli ingressi, distanze sociali, dispositivi di protezione individuale, sanificazione degli ambienti, separazione dei percorsi attraverso strutture e flussi dedicati. La sicurezza sarà sempre più una condizione imprescindibile per organizzare tutti i luoghi. Sembra una realtà distopica ma anche i nostri bambini dovranno imparare ad uscire da scuola in fila indiana raggiungendo i genitori anch’essi in fila ma fuori. L’autonomia insegnata ai bambini e l’ordine nell’uscita non dovrebbero farci rimpiangere la calca, la ressa, la folla (scomode quanto i telefoni a gettoni). Però ci vuole pazienza e tempo più rilassato. Sono curioso, governare i frettolosi è difficile, ma già da adesso si capisce che scuole e trasporti pubblici saranno il banco di prova più terribile per noi italiani. Il trasporto dovrà infatti ripensare tutto, bigliettazione, orari e segmentazione. Lo stesso utilizzo delle auto private va riconsiderato. Nella mia scuola su 130 dipendenti 80 entravano in cortile con la propria auto. Non passeremo il nostro tempo bloccati negli ingorghi se, azienda per azienda, verrà programmato il car sharing e se si diffonderanno bici a pedalata assistita e mezzi elettrici. Tra dieci anni i bimbi di tre anni non giocheranno tra loro come abbiamo fatto noi, non si toccheranno più, non faranno la lotta a terra, manterranno le distanze. L’uomo si è sempre adattato alla natura altrimenti la paga cara.