Michele Serra ha scritto: “Un’ultima cosa: l’erede di Giovanni Malagodi, anche per la sua dialettica incisiva, secondo me esiste. È Carlo Calenda. Se fossimo un Paese serio, sarebbe il leader di un centrodestra democratico, liberale, rispettato. Ma siamo un Paese strano: Calenda è una particola della sinistra, alla deriva nelle galassie. Peccato.”
Ecco in 4 righe spiegato il problema della sinistra italiana da uno, Serra, che si ritiene ancora di quella parte. Calenda è Malagodi. Per inciso, Malagodi era un vero liberale e non ebbe niente a che fare con gli Altissimo e i Patuelli che son venuti dopo. Uno che era per l’economia di mercato quando tutti vantavano le Partecipazioni statali, lo Stato imprenditore che faceva panettoni e Alfa Romeo, occupando gente ma sistemando maneggioni ai vertici, tanto paga sempre Pantalone. Calenda è l’unico che sappia come gestire un ministero, non è un chiacchierone incapace e costretto a ripetere i rosari preparati dagli addetti stampa. Ecco perchè è di destra, secondo i Serra i quali si ritengono di sinistra solo perchè amano i sindacati (i lavoratori se ne sono andati già da soli). Senza capire la differenza tra Trentin e Landini. Di alti burocrati Calenda ne ha visti molti: «Quando sono stato nominato ministro, gli amici mi dicevano che dopo un mese mi sarei suicidato perché non sarei riuscito a fare nulla. Invece no. È una questione di capacità gestionale: bisogna seguire tutti i dossier e il loro stato di avanzamento. Bisogna farlo dalle otto del mattino a mezzanotte, così con la burocrazia fila liscio. Trascorrevo tutta la giornata con i direttori generali del ministero. Di Maio in un anno di lavoro non li ha mai incontrati, se non per gli auguri di Natale. D’altronde la politica preferisce le conferenze stampa, i selfie con gli operai e l’immediatezza del consenso. Così il ministro cede il lavoro al capo di gabinetto, che spesso si trova a far muro coi direttori generali e tutto si inceppa. La verità è che la politica si disinteressa totalmente della parte amministrativa, la lascia in mano alla burocrazia, che certe volte è buona e altre meno».
Ha scritto Christian Rocca (Linkiesta): Il virus corona certo non ha aiutato la riscossa dei liberali, già travolti prima della pandemia dall’ascesa del pensiero unico del populista collettivo, non importa se di destra o di sinistra perché tra i primi e i secondi cambia qualche tono ma tutto sommato la sostanza è la stessa. Salvini e Di Maio, Trump e Putin, Bagnai e Fassina, Crimi e Boccia, Di Battista e Emiliano, Gasparri e De Magistris, Belpietro e Travaglio hanno molti più punti in comune tra di loro che con i liberali, così come Johnson e Corbyn hanno entrambi portato la Gran Bretagna a uscire dall’Europa e i Tea Party e Bernie Sanders hanno demolito insieme la tradizionale politica americana. L’ascesa dei demagoghi del popolo incontra due notevoli resistenze in Emmanuel Macron e Angela Merkel, il famigerato asse franco-tedesco trasformatosi nell’ultimo pilastro dell’occidente libero in attesa delle elezioni americane di novembre. Il Financial Times, con Gideon Rachman, adesso invita i liberali a riprendere la battaglia contro i sovranisti e i populisti, ricordando che è il caso di mettere da parte la definizione cara al poeta Robert Frost secondo cui un liberal è una persona di così ampie vedute da ritenere sconveniente parteggiare per la propria parte. Forse, sostiene Rachman, è arrivato il momento di dimenticarsi questa proverbiale tolleranza liberale e di prepararsi a rispondere alla minaccia. La strada è quella che su queste colonne abbiamo più volte definito «alleanza contro gli stronzi», ma mentre è facile riconoscere i populisti, individuare i liberali non lo è altrettanto, visto che la definizione cambia a seconda della latitudine.
Nell’Europa che ha conosciuto i partiti comunisti e socialisti, comprese le dittature del popolo, i liberali sono considerati di destra, perché in Parlamento siedono a destra dei socialisti. Negli Stati Uniti, dove il socialismo non ha mai fatto presa, i liberal invece sono tradizionalmente l’ala progressista del Partito democratico, seduti alla sinistra dei conservatori.
La definizione autentica in realtà è quella americana, perché i liberali nascono in un’Europa pre-socialista per contrastare il potere assoluto dei monarchi e per questo nei primi parlamenti costituzionali si sedettero alla sinistra degli uomini fedeli al Re e in contrapposizione ai conservatori.
Oggi, infine, i liberali vengono identificati con i liberisti pro mercato, quando come è noto esistono i liberalsocialisti, i riformatori e i libertari che sui temi economici sono decisamente meno radicali dei liberisti.
Ma questo è proprio uno dei grandi successi intellettuali dei populisti di sinistra e di destra, essere riusciti a etichettare con il marchio dell’infamia neoliberista Tony Blair e Bill Clinton, Joe Biden e qualsiasi personalità della sinistra liberale, in Italia è toccato a Matteo Renzi, che abbia provato a conciliare progresso e innovazione, stato e mercato.
La battaglia dei liberali contro i populisti è asimmetrica e al momento il risultato pare anche segnato perché, come ricorda ancora Rachman sul Financial Times, i populisti sono mossi dalla ferocia contro i liberali, mentre il punto stesso dell’essere liberali è esattamente quello di non credere nella distruzione dei nemici.