La discussione politica in Italia raramente si appoggia su dei numeri che abbiano una qualche sostanza. Essa si appoggia, infatti, soprattutto sulle immagini. In Italia sono diffuse le polemiche che richiamano gli andamenti internazionali come quelle sull’Europa divenuta ormai “matrigna”, e come quelle sulle maggiori diseguaglianze come frutto amaro del “neoliberismo”. Sono, invece, meno diffuse le polemiche che evocano le vicende di origine nazionale. Per esempio, una parte cospicua delle pensioni erogate dall’Inps, come quelle sociali o di invalidità, non è stata finanziata da versamenti pregressi – ossia, è di natura assistenziale. Non solo, la spesa assistenziale dell’INPS è pari a due terzi della spesa pensionistica complessiva dell’INPS. Il “masochismo contabile” italiano è il frutto del consolidamento della spesa assistenziale e pensionistica sotto lo stesso tetto, quello dell’INPS. Si dovrebbe, invece, mostrare nella comunicazione che la succitata spesa sociale non è di natura pensionistica e quindi che non va sommata con quest’ultima. E che il sistema delle pensioni finanziato dai versamenti “regge”. A titolo di raffronto, la spesa sanitaria è nell’ordine dei 2mila euro l’anno per abitante. Da quanto detto sembra che l’Italia sia un Paese molto povero dove gli invalidi e le persone senza reddito siano la grande maggioranza. E dove, come segno di una antica civiltà, lo Stato provvede a non lasciarli soli. Ciò è vero, ma molto in parte.
ALBERTO BRAMBILLA
PERCHE’ COLPIRE I REDDITI ALTI CI PORTA IN UN VICOLO CIECO
In Italia quelli che dichiarano un reddito annuo di 100 mila euro e più sono in tutto 500 mila e rappresentano appena l’1,22 % degli oltre 60 milioni di abitanti e dei circa 41,3 milioni di dichiaranti. Questi contribuenti pagano il 20% di tutta l’Irpef, pari a circa 34 miliardi, cioè in media 68 mila euro a testa ogni anno, dopo aver pagato anche i contributi sociali, cioè 33% della retribuzione se lavoratore dipendente e 24% se autonomo.
Per contro il 44% dei contribuenti (quasi 18 milioni) appartenenti alle prime due fasce di reddito ( fino a 7.500 euro lordi l’anno e da 7000 a 15 mila euro) paga solo il 2,42 % di tutta l’Irpef cioè 3,5 miliardi che divisi per tutti i contribuenti fanno 195 euro a testa l’anno; in pratica l’1,22 di oberati paga 349 volte in più del 44%. Per capirci, se la sola sanità costa pro-capite 1.886,51 euro, per i primi due scaglioni di reddito la differenza tra l’Irpef versata e il solo costo della sanità ammonta a 49,7 miliardi che sono a carico degli altri contribuenti. Ma anche il successivo scaglione di reddito (da 15 a 20 mila euro) paga imposte inferiori al costo pro-capite sanitario, per cui, per tutelare la salute di quasi 36 milioni di cittadini, il circa 40% di contribuenti (che pagano il 91% di tutta l’Irpef) deve finanziare oltre 52 miliardi ogni anno per la sola sanità. Ma è credibile questa situazione reddituale per un popolo che ha il record di telefonini, moto, auto,case e che tra gioco d’azzardo, droghe alcool e tabacco spende 170 miliardi l’anno, cioè una volta e mezza la sola spesa sanitaria? Quelli che si mantengono e con le loro tasse mantengono anche gli altri, sono considerati poco onorevoli, ricchi, forse ladri, a cui populisticamente tagliare i redditi, ridurre progressivamente tutte le detrazioni, comprese quelle per il welfare complementare e tagliare le pensioni alte; tanto sono pochi, non stupidi e quindi non votano i fenomeni del momento. Eppure se questi disprezzabili non comprassero più i titoli di Stato che, peraltro, danno rendimenti negativi, chi pagherebbe gli stipendi dei dipendenti pubblici, la sanità e le pensioni al 60% degli altri cittadini?
NICOLA ROSSI
COMPLICARE NON COSTA NIENTE
Perchè la parola semplificazione abbia un senso, essa deve coincidere con un’altra parola che la politica e la burocrazia temono come la peste: taglio. Nelle complicazioni nasce, dalle complicazioni si nutre e attraverso le complicazioni si esprime il potere della politica e della burocrazia. Rendere semplice ciò che volutamente nasce per essere complicato è, nel migliore dei casi, ingenuo. Solo riducendo il campo di azione dell’operatore pubblico, solo riconducendo l’operatore pubblico nei suoi confini caratteristici, si potrà semplificare. Il potere in Italia non si traduce nel tentativo di mettere in grado il cittadino di affrontare e risolvere i suoi problemi quotidiani ma, al contrario, mira a mettere il cittadino in condizione di non poter affrontare e risolvere da solo quegli stessi problemi e di dover quindi chiedere l’intervento – non sempre disinteressato – della politica e della burocrazia, spesso e volentieri mediato da professionisti ad esse contigui. A pagare sono sempre e solo i cittadini condannati a riempire un nuovo modulo, a frequentare un nuovo ufficio, a superare un ostacolo sempre più alto. Anche qui la soluzione è semplice. Basta sancire il principio che, dal momento che ogni nuova procedura è intesa a tutelare un interesse generale, la collettività deve accollarsene in tutto o in parte l’onere, rimborsando i cittadini per le spese sostenute e per il tempo perso nell’espletamento delle nuove procedure. In questa maniera si trasformerebbe ogni provvedimento “di complicazione” in un provvedimento di spesa sottoponendolo, di conseguenza, al vincolo di bilancio dello Stato. Augurandoci, naturalmente, che l’Italia possa al più presto tornare ad averne uno. Ovviamente nulla di tutto questo sarà nel decreto semplificazioni. (ESTRATTI DA CORSERA ECONOMIA)