Quando gli fecero notare che il Parlamento era pieno di cretini, Winston Churchill rispose «meno male, questa è la prova che siamo una democrazia rappresentativa». Non so se la citazione sia esatta o solo una boutade che amava ripetere Francesco Cossiga, ma se Churchill avesse visto come sono ridotti i Parlamenti nostrani difficilmente avrebbe trovato il modo di fare una battuta di spirito, tanto più che a leggere i giornali e le bacheche social di questa epoca siamo a un passo dal considerarlo un indegno farabutto, lui che è stato l’eroe della resistenza al nazifascismo, e addirittura vicinissimi all’erigere statue equestri al Professor Avvocato Giuseppe Conte di Volturara Appula.
La patetica manfrina sui soldi del Meccanismo europeo di stabilità, ovvero l’insensato rifiuto di usare trentasei miliardi europei a costo quasi zero per ricostruire il sistema sanitario nazionale, è un esempio del tempo in cui viviamo.
Il premier Conte preferisce un prestito dai mercati finanziari a un tasso elevato, facendoci spendere molti più soldi da far pagare alle prossime generazioni, e predilige avere come creditore non un meccanismo europeo di cui l’Italia è il terzo investitore ma i fondi speculativi internazionali. In un paese normale, dotato di un sistema informativo non supino, tutto questo sarebbe materia di procedura di impeachment, se non di infermità mentale, anche perché la scelta di Conte è motivata dal non voler infastidire nientedimeno che Vito Crimi e Alessandro Di Battista e dal non voler cedere la bandiera populista all’opposizione di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
Tutto questo mentre l’Economist, nella sua ultima copertina, avverte gli stati, i governi e le organizzazioni internazionali a non farsi trovare impreparati di fronte alle prossime catastrofi virali. I soldi del Mes servono esattamente a questo, a non farci trovare impreparati quando ci sarà un’altra emergenza sanitaria, ma Conte dice che deve ancora pensarci, rimanda a settembre e, nonostante le task force e gli stati generali, non ha ancora nessun piano d’azione che vada oltre l’aggiustarsi la pochette in favore di telecamera del tg della sera.
Poi c’è la questione dei vitalizi, altra scemenza senza eguali che monopolizza il dibattito pubblico italiano e sancisce l’egemonia culturale dei babbei a cinque stelle anche sul Partito democratico.
I vitalizi sono stati aboliti nel 2012 dal governo Monti e di conseguenza, dalla legislatura del 2013, nessun parlamentare della Repubblica, una volta raggiunti i sessant’anni di età, riceverà l’assegno mensile che era stato istituito nel 1968.
I Cinque Stelle, però, non si sono accontentati di questo successo dettato dal risentimento contro la politica e nel 2018, conquistata la Camera dei deputati, con un colpo di mano sui regolamenti hanno imposto il ricalcolo retroattivo, punitivo e palesemente incostituzionale per gli ex parlamentari in pensione, ovvero per circa duemila e cinquecento persone, perlopiù ottantenni e novantenni o relativi congiunti rimasti vedovi, per un risparmio complessivo per le casse dello Stato di 80 milioni l’anno, ovvero meno dello 0,01 per cento della spesa pubblica italiana.
Se l’Italia accederà al Mes e prenderà i 36 miliardi messi a disposizione del nostro paese, nel 2030 dovrà restituire 36 miliardi e 500 milioni di euro. Se dovessimo invece chiedere quei soldi sul mercato, come sostengono Conte e i populisti di governo e di opposizione impegnati in questi giorni a togliere a duemila anziani un assegno vitalizio, dopo dieci anni dovremmo restituire 43 miliardi, oltre sei miliardi in più rispetto a quanto ci costerebbe il prestito del Mes.
Ricapitoliamo: Conte non ha nessun piano per rendere efficiente il sistema sanitario e proteggere gli italiani da una nuova pandemia e se ce l’avesse vorrebbe farci spendere sei miliardi in più di interessi da far pagare tra dieci anni ai nostri figli, mentre la sua maggioranza si batte per far morire di fame duemila vecchietti, per risparmiare ottanta milioni l’anno e per alimentare il rancore contro le istituzioni. Eccola, la fotografia della tragedia civile e morale dell’Italia 2020. (da LINKIESTA)