(Marco Bentivogli su Repubblica, IL TRIDENTE DELLA SPERANZA) La politica economica non può essere ulteriore fonte di incertezza. Dobbiamo essere molto chiari negli obiettivi che ci poniamo, con saggezza e lungimiranza. In coro col presidente Mattarella che parla di idealità, visione e concretezza. Di per sé non sono parole rivoluzionarie, ma lo diventano in un Paese che fatica a prevedere l’obbligatorietà dei vaccini, che nega l’utilità delle mascherine, che è indeciso su tutto ciò che supera la giornata. È stata un’invocazione a scegliere subito, come fece De Gasperi, a non aspettare la fine della guerra. Anche perché, se anche scamperemo la seconda ondata, il nostro Paese è già comunque in default demografico, anticamera di quello sociale, industriale, economico e civile. Servono «idee e cantieri e uno stile di concretezza, rigore, di realismo, animato da una grande tensione ideale», come ricorda la presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia, lo stesso giorno a Trento.
Insomma, il messaggio di apertura del presidente Mattarella, le parole di Draghi e la lectio degasperiana “Costruzione e ricostruzione” della presidente Marta Cartabia, sono stati un tridente di speranza e di ritorno alla realtà su cui evidentemente gran parte della classe dirigente italiana ha sviluppato l’immunità di gregge.
L’ex governatore ha rincarato la dose: «Non si può non raccogliere l’appello affinché l’incertezza paralizzante della pandemia non possa per nessun motivo sospendere il nostro impegno etico ma che anzi trova vigore proprio nelle difficoltà del presente». Le sue parole sono un appello civico e morale che risolleciti un impegno collettivo, di comunità.
I sussidi “buoni” sono una prima forma di vicinanza, servono a sopravvivere, a ripartire. Sono “cattivi” se è l’unica cosa con cui combattiamo la nuova povertà, se diventano strutturalmente l’unico orizzonte che offriamo alle nuove generazioni. Fa bene Draghi a riconoscere che in molte improvvisazioni «il poco possibile» è stato comunque fatto. Ora serve ben altro.
Dopo aver spento il fuoco, bisogna ricostruire e per questo serve visione. Sicuramente il premier Conte e la sua compagine hanno le idee chiare, ma le nascondono talmente bene da reagire con un silenzio tattico o parlando di candidature il giorno dopo sui giornali.
Neanche le migliori parole che riportano alla realtà imbarazzano chi applaude contro debito e sussidi e al contempo avversa il Mes e difende quota 100 generalizzato a tutti i lavori e il reddito di cittadinanza e paralizza l’Anpal.
Più sincere ma altrettanto poco credibili le parole delle opposizioni, con la litania anti-europeista che non fa più i conti con un’Europa che ci sta salvando e ancor meno con la constatazione che non abbiamo più proprio Mario Draghi a difendere il nostro Paese nel consesso internazionale e tra venezuelani, filorussi e filocinesi, c’è proprio bisogno di figure che facciano da garanti alla nostra collocazione internazionale.
Ma il cuore del discorso riguarda i giovani. Tema su cui nel nostro Paese, chiunque indichi i numeri della condizione giovanile, automaticamente viene tacciato di volere lo scontro generazionale.
Anche su questo Draghi non aggiunge confusione: il debito “cattivo”, quello improduttivo, i sussidi a pioggia, l’interruzione dell’istruzione sono contro le nuove generazioni.
L’interruzione dei percorsi educativi allarga senza precedenti le diseguaglianze.
Bisogna ripartire dalla qualificazione professionale per i giovani, altrimenti sarà l’ennesima ipoteca sul loro futuro. La pandemia rischia di essere il colpo di grazia alle speranze di un’intera generazione. Da anni lottiamo per il diritto soggettivo alla formazione. Deve entrare in ogni contratto di lavoro, deve avere rango di diritto umano. Non solo, mentre il mondo discute di più moderne ed efficaci forme di apprendimento adattivo, in Italia si discute di banchi a rotelle e di assunzioni senza concorso.
L’aumento della paura e dell’incertezza sta facendo crescere il risparmio delle famiglie, che in Ue è passato dal 13% del 2019 al 17%. Per il nostro Paese è tutt’altro che una buona notizia, visto che la patrimonializzazione del risparmio lontano dagli investimenti produttivi è un problema endemico.
Per anni, una brutta forma di egoismo collettivo ha portato a distrarre capacità umane e risorse economiche verso provvedimenti a maggiore ritorno elettorale divaricando una delle più gravi forme di diseguaglianza, quella generazionale. Per questo oggi l’Italia è un Paese solo per anziani benestanti e in buona salute. L’Istat certifica che i nuovi poveri sono i giovani con un basso livello di istruzione. E mentre siamo campioni europei per abbandono scolastico, ci gloriamo del fatto che i giovani in età adulta vivano con il supporto della paghetta dei genitori in pensione.
Un orizzonte di giovani sussidiati e disoccupati, come diceva Ezio Tarantelli, allievo di Federico Caffè come Draghi, è molto più che un problema economico sociale, è un problema di democrazia, è tappare la bocca ad un’intera generazione.