Propaganda live è ormai un marchio riconoscibile dell’antipolitica (che è stato il brodo di coltura dei grillini) che come tale va fissato e tramandato agli storici futuri. Tutto comincia con “Gazebo“, un talk show e satirico condotto da Diego “Zoro” Bianchi (28 ottobre 1969, tipico Scorpione individualista ed inconoscibile), andato in onda su Rai 3 dal 3 marzo 2013 al 19 maggio 2017. Ricordo che fu nel 2018 che si ebbe alle politiche l’affermazione, specialmente al Sud, dei grillini. Bianchi e’ laureato in Scienze politiche e arriva alla tv dal web, dove comincio’ come youtuber. Scoperto da Mentana, adottato dalla Dandini, porto’ in tv la cosa piu’ interessante che il web ha donato allo spettacolo, un continuo cazzeggio, un incessante divertente commento ai fatti e alle notizie H24. La satira, prima appannaggio degli autori, diventa grazie al web di tutti e fa emergere migliaia, milioni di battutisti, di salaci commentatori in servizio permanente effettivo che prendono spunto da qualsiasi cosa succeda, da qualsiasi dichiarazione degli uomini pubblici per dissacrarle e renderle ridicole. Zoro nasce in quel mondo e arrivando in tv intende magari fare satira, ma poi capisce (o forse e’ la sua vocazione) che potrebbe unire giornalismo e satira in un programma. Poi dal 2017 la sua compagnia (non lo puo’ seguire solo il lametino Antonio Sofi, rimasto a Rai3) si trasferisce su La7 perche’ Andrea Salerno, uno degli autori e suo grande amico, ne e’ diventato il direttore. Propaganda comincia quindi nel momento in cui l’italietta abbraccia l’uno vale uno dei grillini, il governo degli incompetenti, il capo del Governo “per caso”, il prof. Conte da Volpurara Appula. Nonostante ci siano ben quattro giornalisti in studio, Damilano (ora Ceccarelli), Schianchi, Celata e Reuscher, l’informazione si mischia con l’opinionismo (o cazzeggio) da social (al quale pensa Marco “Makkox” D’Ambrosio, vignettista e disegnatore) e la musica della band formata dal chitarrista e cantautore Roberto Angelini (con, tra gli altri, il batterista fuoriclasse Fabio Rondanini) oltre che di vari ospiti.
Diego Bianchi “Zoro” ogni settimana parte per un reportage in una località italiana dal Sud al Nord alle isole (ma e’ instancabile, e’ stato anche all’estero) documentando gli “ultimi”, fabbriche in crisi, emergenze sociali, drammi collettivi, emergenze umanitarie. La missione che in fondo aveva assegnato alla tv il mitico direttore/intellettuale di Rai3 Angelo Guglielmi. Lo sguardo su Roma si posa sul cd “circo mediatico”, quel gruppone di giornalisti e operatori tv che segue ogni giorno la politica a Montecitorio e dintorni. In studio Zoro fa interviste a invitati scelti con cura, dalla Mannocchi a Paola Cortellesi (ben prima del suo film record), da Michele Serra alla Guzzanti, oltre a noti opinionisti che intervengono senza avere libri in uscita. Nell’anno di pandemia sono molto riusciti gli interventi “teatrali” di Andrea Pennacchi e Valerio Aprea ben accetti al popolo del web che li diffonde ai posteri. La trasmissione, dovendosi allungare per arrivare all’una di notte, ha avuto bisogno poi di tante trovate, di numeri in esterna, per esempio affidati a inviati come Memo Remigi, alla Topten finale che compendia una settimana sui social, al Var di puntata che consente i saluti agli spettatori da casa, sino a “creazioni” di canzoncine, tormentoni, montaggi audio e video di Fabio Celenza, talvolta con la presenza di Zero Calcare e del fumettista Gipi. In questo caleidoscopio la cifra stilistica sta tra il guazzabuglio e l’antipolitica, perchè alcuni bersagli satirici ripetuti (da Angelino Alfano a Toninelli e Calenda), la simpatia deandreiana per l’accoglienza umanitaria unita all’ostentato disprezzo per le politiche alla Salvini e Menniti (come se fossero la stessa cosa), il tentativo di rendere leggera l’argomentazione politica, “personalizzano” l’approccio empatico di Zoro.
I meriti, a mio parere, di Zoro superano i suoi limiti, e tra i meriti annovero alcune rivoluzioni di linguaggio che e’ riuscito ad operare: ha innovato il reportage televisivo, la vecchia inchiesta sul campo; ha un gusto magnifico per il commento musicale per cui non si sa come riesce a trovare la musica giusta per commentare ogni immagine significativa dei suoi reportage; ha svelato i meccanismi del circo mediatico dall’interno, riuscendo cosi’ a fornire dei politici e dei rituali politici uno sguardo nuovo, una prospettiva diversa. Ha innovato le ospitate televisive, perche’ in qualsiasi campo, quello musicale o quello teatrale o quello cinematografico o quello letterario, riceve personaggi che in tv vanno poco e li sceglie con cura (Colapesce e Di Martino, Tananai, Mengoni per la musica, Sandro Veronesi, Valerio Aprea, Pennacchi e tanti altri).
Ogni ospite è accolto in studio come un vecchio amico, per significare che è stato scelto, non subìto per scelte editoriali. Tutta la produzione dà l’idea dell’affiatamento di una squadra che con-divide le stesse antipatie, anche se poi qua e là appaiono crepe, come la fuoriuscita del tassista Missouri 4 dopo due stagioni o del musicista Angelini in aspettativa dopo che si è scoperto che nel suo ristorante lavorava in nero una ragazza.
Pro-paganda corre sempre e solo un solo rischio, che e’ l’amichettismo (rimando su questo blog a un articolo in cui parlo diffusamente di questa categoria). Vorrei fare un solo esempio. Ai tempi dei governi Conte 1 e 2, quando compariva Casalino (il pr che curava la comunicazione di Conte) Zoro crea un tormentone, gli metteva sempre la musica del Grande Fratello perche’ Casalino viene da quella trasmissione. Un giorno, dopo anni, lo incontra in una via di Roma, era, grazie a Dio, caduto Conte, e cosi’ filma le cose che si dicono. Tra i due c’e’ una vecchia ruggine, e’ evidente, ma il dialogo, lunghissimo, comincia stentato sino a diventare confessione, libero, come se la telecamera non ci fosse. Merito della piu’ grande dote che Zoro ha, una empatia pazzesca per il prossimo. Dopo quel dialogo, documentato, tagliato e mandato in onda, Casalino, volente o no, e’ diventato un amichetto di Zoro, cosi’ come Enrico Letta, che ando’ a trovare a Parigi (esiliato dal traditore Renzi) quando lavorava cola’ e che poi si e’ ritrovato a Roma nella nuova veste di segretario del Pd.
Voglio dire che l’empatia di Bianchi, la sua piu’ grande dote umana, e’ anche la sua migliore qualita’ giornalistica e se non la maneggia con cura puo’ diventare la sua prigione. Perche’ se facendo il tuo lavoro cominci ad avere, giocoforza, tanti amichetti (gli amici sono un’altra cosa) il tuo percorso diventa accidentato. Diego Bianchi è un ulteriore esempio di quello che Cazzullo ha definito il “romanocentrismo dell’industria culturale italiana” (son tutti romanizzati, anche la parmense Schianchi o la tedesca Reuscher o il milanese Remigi). Poi Zoro suo malgrado è anche il bignamino delle contraddizioni del fronte gauchista mischiato col generone romano dove ogni puro prima o poi viene depurato da uno più puro di lui. La domenica è in tribuna a tifare per la Roma, il giorno dopo va a Terni per incontrare gli operai Wirphool, poi a Lampedusa con il sindaco Giusy Nicolini, a Riace per chiacchierare con Mimmo Lucano. Se il Pd si dice sia un partito da ZTL, lo è almeno quanto alcune trasmissioni tv. Ad ogni modo, che male c’è? Non importa se il gatto sia rosso o nero basta che mangi il topo.
Si pensi ad un suo ricorrente riferimento alla bocca: con la telecamerina Zoro documenta sempre ogni sua sosta all’autogrill, al bar, l’addentare qualcosa. E’, secondo me, il tentativo di giocare a carte scoperte, di presentarsi agli spettatori intero, con il suo privato. Sto lavorando, ma non vi nascondo nulla. E’ un modo come un altro per non essere paludato come quei giornalisti che appaiono in tv sempre ben truccati, pettinati, ben vestiti, anche se prima del collegamento hanno sofferto caldo, tempi di attesa, noia, fatica. Zoro tenta di mostrarti anche il dietro le quinte delle sue inchieste, i viaggi, gli spostamenti, gli alberghi, i ristoranti, i caffe’. Solo che, in tv, e non solo, la ripetizione alla fine stroppia. E occorre sempre ricordare che qualcuno, non si e’ mai ben capito se Flaiano o Longanesi, una volta disse che in Italia la rivoluzione non si potra’ mai fare perche’ ci conosciamo tutti.
“Dunque, nulla di nuovo da quest’altezza” “ (Franco Fortini)