(valentina santarpia, corsera) Gli stipendi iniziali degli insegnanti italiani si collocano – insieme a quelli dei colleghi francesi, portoghesi e maltesi – nel range tra 22.000 e 29.000 euro lordi annui.
Ancora più alti, tra 30.000 e 49.000 euro, sono quelli degli insegnanti in Belgio, Irlanda, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Finlandia, Svezia, Islanda e Norvegia.
Infine, stipendi superiori a 50.000 euro si registrano in Danimarca, Germania, Lussemburgo, Svizzera e Liechtenstein, tutti paesi con un alto PIL pro capite.
È quanto emerge dall’ultimo rapporto Eurydice su stipendi e indennità di insegnanti e capi di istituto in Europa. Per quanto riguarda l’importo e il tempo necessario per gli aumenti di stipendio legati alla progressione di carriera, si registrano sostanziali differenze tra i paesi europei. Ci sono Paesi come l’Italia in cui gli insegnanti anche con una significativa anzianità di servizio raggiungono modesti aumenti di stipendio. In concreto, gli stipendi iniziali degli insegnanti possono aumentare di circa il 50% solo dopo 35 anni di servizio. Per fare un esempio pratico, di solito, uno stipendio per un insegnante delle superiori a inizio carriera si aggira attorno ai 1.760.88 lordi, che netti diventano 1.350 euro. A fine carriera, invece, si arriva fino a 2.625.78 lordi con 1.960 euro netti.
Un docente di scuola media, invece, all’inizio di carriera prende 1.350 euro, poi alla fine ne prende 1.895. Per quanto riguarda, invece, i docenti della scuola dell’infanzia e della primaria, all’inizio della carriera prendono 1.262 euro, a fine 1.759 euro.
Per quanto riguarda i cambiamenti negli stipendi tabellari durante gli ultimi anni, dal rapporto risulta che nel 2018/19 e 2019/20, gli insegnanti hanno visto aumentare i propri stipendi nella maggior parte dei sistemi educativi, anche se gli aumenti sono stati generalmente modesti o indicizzati all’inflazione.
Tra il 2014/15 e il 2019/20, in un quarto dei sistemi educativi analizzati, gli stipendi iniziali degli insegnanti adeguati all’inflazione sono rimasti invariati o sono risultati addirittura inferiori. In Italia, così come in Francia, il potere di acquisto degli insegnanti è rimasto più o meno lo stesso negli ultimi cinque anni.
In Italia lo stipendio minimo di base per i capi di istituto è il doppio dello stipendio di un insegnante con 15 anni di servizio. Gli stipendi dei capi di istituto, in Europa, spesso aumentano in base alle dimensioni della scuola. Inoltre, le responsabilità e l’esperienza dei capi di istituto determinano differenze significative nei loro stipendi nella maggior parte dei sistemi educativi. In alcuni casi lo stipendio minimo di base dei capi di istituto è inferiore allo stipendio degli insegnanti con 15 anni di esperienza. In molti altri, invece, è superiore in tutti i livelli di istruzione. La differenza è più marcata in Francia (per il livello secondario), Italia, Romania, Finlandia e Islanda (livello secondario superiore) e Svezia.
Quello sugli stipendi degli insegnanti è un dibattito che si apre periodicamente in Italia, l’ultima volta partendo dalle pagine del Corriere. Il ruolo dell’insegnante in Italia risulta poco attrattivo: un professore guadagna la metà di chi, a parità di titolo di studio, sceglie un’altra professione (tra il 56 e il 64 per cento dello stipendio del collega), come testimonia l’ultimo rapporto sullo stato dell’istruzione nel mondo. Ma ovviamente raddoppiare lo stipendio agli insegnanti non è l’unica soluzione per migliorare le performance dei nostri studenti.
(scoppetta) Infatti, l’unica cosa che sarebbe necessaria in Italia non si farà mai , vale a dire una carriera dei docenti.
I più bravi devono essere pagati di più, soltanto così le poche risorse potrebbero essere distribuite meglio. Si preferisce invece un egualitarismo politico-sindacale che premia soltanto gli scansafatiche e i doppio lavoristi. E’ evidente che un docente bravo pagato di più di un collega medio sarebbe gratificato, com’è giusto, e rappresenterebbe, per i giovani, un incentivo a fare l’insegnante.
Ma il primo passo è eliminare il doppio lavoro dell’insegnante pubblico, soltanto con insegnanti dedicati soltanto alla scuola si potrebbe poi instaurare una vera carriera docente con aumenti progressivi di stipendi. Ma non generalizzati, ad personam. I detrattori la chiamano scuola-azienda. Leggete qua: “si respinge la logica competitiva e neoliberale” scrive la Cgil se qualcuno parla di valutazione nelle scuole. Perchè preferiscono la scuola occupazione secondaria per casalinghe e professionisti, la scuola fatta nei ritagli di tempo. Il lavoro che paga tutti poco perchè mette tutti sullo stesso piano, come se gli insegnanti fossero uguali. Chiedetelo agli studenti (non ai presidi) chi sono quelli bravi e indimenticabili: ve lo diranno subito. Se in qualsiasi fabbrica tutte le vacche sono nere nella notte nera (Hegel) e paghi tutti allo stesso modo, senza considerare impegno, capacità e risultati dei singoli, se non crei un mercato ma preferisci la logica del soviet, le prestazioni medie si attestano su quelle più basse. Lo capisce anche un bimbo delle elementari cosa significhi valorizzare una persona, chè se lui ha fatto i compiti e il suo compagno di banco no, si aspetta che gli si dica “bravo” altrimenti dice “ma chi me lo fa fare ad impegnarmi?”.