Il Pd e la trappola dei buoni ma scarsi che blocca l’Italia da decenni

Dopo il pasticcio sulla legge Zan e la conseguente divisione del mondo in Buoni e Cattivi argutamente descritta da Guia Soncini vengono alla mente pensieri cattivi anche se elementari, quasi infantili nella loro semplicità. Non è che alla fine la divisione del mondo per gestire una realtà complessa come il nostro Paese bisogna farla in base alle competenze e qualità delle persone e non in base alla omologazione culturale basata sugli stereotipi?

Per due anni e tre quarti il Partito democratico ci ha propinato la favoletta di Giuseppe Conte come sintesi estrema del pensiero da statista e baluardo dei Buoni. Dopo solo nove mesi di governo Draghi, chiunque si rende conto perfettamente che il presidente del Consiglio non è paragonabile a Conte. Semplicemente è di un’altra categoria.

Ce lo dicono i banchi a rotelle, le mascherine comprate e inutilizzabili (800 milioni) perché non a norma; la campagna vaccinale del generale Figliuolo anni luce avanti rispetto alle primule di Domenico Arcuri, il G20 in cui per la prima volta dopo anni l’Italia ha mostrato una leadership sui temi della transizione ecologica anziché il vuoto, stucchevole, imbarazzante deserto delle conferenza stampa in prime time di Casalino/Conte; il tono asciutto e preciso degli interventi di Draghi invece della retorica ampollosa di Conte che alla fine chiama davvero il verdoniano «in che senso?», perché nulla viene detto salvo ovvietà e tautologie frasi buoniste.

Ce lo dice chiunque sia dotato di buon senso che abbiamo finalmente una leadership e una classe di governo degna di questo nome e non un branco di scappati di casa alla Danilo Toninelli, senz’arte né parte, capitati per caso a ruoli di responsabilità del tutto inadatti alle loro competenze.

Insomma Draghi è immensamente più bravo di Conte nel ruolo di capo del governo, e si vede. Così come si vede che Matteo Renzi è un politico piu bravo di Enrico Letta.

Anche qui la vulgata del pensiero buono omologato vuole pretendere che Letta sia il vincitore morale delle elezioni amministrative, dimenticando che in realtà le hanno perse malamente Matteo Salvini e Giorgia Meloni con un’astensione mai vista assecondata da candidati improbabili. Dimenticando che Beppe Sala è davvero bravo, mentre il candidato del centrodestra a Milano (come si chiama? Non mi ricordo) è irrilevante.

Letta, quello “buono”, va in Senato e si fa mettere sotto dai franchi tiratori del Pd su una legge osteggiata dai settori piu vicini alla Curia tradizionalista, settori che nel Pd sono ampiamente rappresentati come Letta sa perfettamente.

Renzi, invece, è quello che ha scelto di fare cadere Conte e di spingere per un governo Draghi, nonostante Andrea Orlando e Conte stesso solo cinque giorni prima dell’incarico sostenessero con ironia che Draghi mai avrebbe accettato l’incarico, con pressioni che definirei leggendarie sullo stesso Renzi (e sui responsabili che erano buoni a prescindere, orgogliosamente guidati da Lello Ciampolillo) perché lasciasse via libera a un Conte ter che avrebbe avuto conseguenze letali per il Paese.

Renzi è anche quello che ha spinto Salvini fuori dal governo dopo il Papeete, nonostante il leader della Lega avesse a quel tempo nei sondaggi un consenso al 34 per cento. E Salvini non si è piu ripreso. Ma di questo ci si dimentica facilmente perché bisogna sostenere che Letta è un fantastico segretario e Renzi è il male assoluto. Ovviamente non è vero. Renzi è politicamente molto piu capace di Letta e infatti ha scalato il Pd contro la grande maggioranza dei “buoni”, lo ha portato al 40 per cento. È stato, come dice Carlo Calenda, uno dei migliori presidenti del Consiglio italiani e nel 2014 aveva deciso che Letta non era adeguato al ruolo, come anche all’epoca era evidente a tutti.

Renzi non è il bene assoluto. Tutt’altro. Il referendum costituzionale perso nel 2016 passerà alla storia come l’errore piu marchiano che potesse fare, paragonabile al referendum sulla Brexit di David Cameron. Ma il leader di Italia Viva è immensamente piu capace di Letta, come sanno perfettamente e dicono solo in privato chi li conosce da vicino.

Ora forse da queste riflessioni discende una evidenza simile alla favola del bambino che dice “il re è nudo”. Non è che questi “buoni” che da 30 o 40 anni nel Pd ci insegnano cosa è giusto e cosa invece è cattivo, che usano la parola fascista quando si deve delegittimare senza appello un avversario politico. Non è che questi “buoni” sono semplicemente scarsi?

Non è che sono così scarsi da aver bisogno delle patenti di buono o cattivo, fascista o antifascista, democratico o non democratico, proprio per nascondere l’incapacità di governare e anche in fondo l’incapacità di dibattere, di orientare l’opinione, di fare proposte realistiche e concrete su temi chiave che poi sono quelli che davvero interessano al paese?

Non è che sono così scarsi da continuare a scegliersi tra di loro e appena emerge qualcuno NON scarso (Renzi, ma anche Giorgio Gori o Beppe Sala) ci tocca subito leggere un’intervista del fantastico e scarsissimo Francesco Boccia che ci dice che Renzi sta «flirtando» con la destra… e per questo quindi è cattivo?

Non è che da 30 anni perdono spesso le elezioni, anche in collegi locali semi-blindati (esempi: Boccia e Dario Franceschini), una volta contro Berlusconi, una volta contro Salvini, una volta contro Grillo e la prossima magari anche contro Meloni, perché non sono capaci di convincere gli elettori?

Non è che forse sarebbe il caso di avere una leadership non solo della destra (che i buoni definiscono «impresentabile») ma anche della sinistra che non ci spieghi che Conte è uno statista di livello planetario? E che finalmente ci dica come faremo a sostenere con le nostre tasse tutte le forti e giuste iniziative progressiste in una società con una demografia drammatica, con un debito elevatissimo e tasse sul lavoro senza eguali nel mondo?

Non è forse il caso di sollevare il tema della leadership di un partito di “buoni” che si crogiola nella assunta e pervicace convinzione che tutti gli altri sono cattivi, a meno che, come i Cinquestelle, siano presuntamente necessari a dare il potere ai buoni di governare senza impicci?

Io penso che i buoni, esattamente come hanno dimostrato al Senato con la legge Zan, saranno un gravissimo problema per questo paese, perché non hanno alcuna capacità di identificare un buon leader, sostenerlo convintamente, eliminare un’intera classe dirigente di figli dei buoni, ovvero coloro che non hanno nessuna competenza, nessuna esperienza di lavoro, ma grande attitudine a baciare le pile dei grandi vecchi e a essere messi da questi nella condizione di diventare presunti leader.

Un leader crea consenso e stima intorno a sé. Sa quando cedere al compromesso su aspetti minori e quando tenere il punto sui temi chiave. Ha una visione, una competenza e una credibilità derivati dal ruolo e dall’esperienza. Non parla per catturare consenso becero, ma per orientare il pensiero di chi lo ascolta, anche, se è il caso, dicendo verità scomode. Come spiegare al ministro Franceschini (che leader non è e non è mai stato) che le risorse sono scarse, sono dei contribuenti italiani e non del Pd o del ministro, e va scelto molto attentamente dove investirle (che è sempre diverso da dove sprecarle per avere un presunto dividendo elettorale).

Non vorrei che i buoni di oggi siano sempre gli stessi, quelli che si sono costruiti con il partito un sistema per continuare a detenere il potere. Lo stesso potere che invece privatamente non avrebbero mai nemmeno lontanamente potuto avere, banalmente perché non ne hanno le qualità. Perché non sono appunto bravi.

In sintesi io non vorrei mai farmi operare da un chirurgo non bravo ma “buono”, né vorrei che le aziende italiane migliori fossero gestite dagli amici dei buoni e non dai bravi, e quindi non mi interessa avere un presidente del Consiglio o della Repubblica “buono” se incompetente. Non vorrei proprio sentire mai più questa favoletta dei “buoni” e dei “cattivi”.

Preferirei dividere il mondo in competenti e incompetenti e ho la netta sensazione che la grade maggioranza dei “buoni” sia profondamente incompetente.

Non che nei cattivi ci siano per contro tantissimi competenti, tutt’altro. Ma essendo catalogati a priori come cattivi non hanno l’aura del competente. Se vincono le elezioni è solo perché il popolo bue non ha capito.

Il re è nudo. I buoni non sono necessariamente bravi. Ed esistono invece i vestiti dell’imperatore. Li hanno tendenzialmente i competenti che esistono sia tra i buoni che tra i cattivi. I competenti si riconoscono tra di loro, ed evitano di dare le patenti di buono o cattivo, perché non servono a nulla. Sono bravi chirurghi, bravi manager, bravi politici.

Sarà magari una coincidenza, ma quest’anno c’è stato uno bravo al governo, senza patenti di buono o di cattivo, e francamente non interessa minimamente sapere se sia buono o cattivo, di destra o di sinistra, uomo o donna, cattolico o no, progressista o no.

È solo molto bravo.

Questa è l’unica cosa che conta nel mondo difficile che andremo ad affrontare.