Un anno e venti giorni fa su Huffpost scrivemmo che il più grande rischio per l’Unione europea si chiamava Giuseppe Conte. Il piano del recovery prevedeva, e prevede, un paio di centinaia di miliardi in devoluzione all’Italia, il sessanta per cento in prestiti agevolati, il resto a fondo perduto o, come si dice da queste parti, a babbo morto. I segnali carnevaleschi lanciati allora dal nostro governo e dalle nostre attitudini collettive, con sfilate di esperti nelle ville barocche della capitale a maggior lustro dell’Avvocato Sire, cui erano seguiti progetti di riforma nebulosi o particolarmente dozzinali, e appetiti da crapula dei partiti per il banchetto dei loro elettori, avevano indotto la Boersen Zeitung, giornale attento agli umori della Bundesbank, a scrivere che l’Italia era una polveriera capace di far saltare in aria l’Europa.
Il recovery, talvolta malinteso dalle nostre leadership e dai nostri commentatori, non è semplicemente un piano di soccorso di stampo pandemico, ma l’occasione per finanziare riforme che soprattutto l’Italia manca da qualche decennio, e in particolare da quando negli anni Novanta ci attardammo sulla rivoluzione digitale. Bastarono un paio di telefonate dalle parti di Bruxelles perché ci fosse certificata l’ampia diffusione dei sentimenti squadernati dalla Boersen Zeitung, e per definire il crepuscolo di Conte: il fallimento dell’operazione comunitaria, con un inaudito principio di debito comune, avrebbe significato non soltanto il collasso italiano ma dell’intero disegno europeo.
Un anno e venti giorni dopo, le imprevedibilità del covid e delle sue varianti e la crisi energetica, con l’aumento spaventoso dei prezzi delle materie prime, ci ricacciano nell’ansia ma non nello sconforto: la campagna per la terza dose e la speranza che la crisi energetica non sia strutturale non hanno cancellato le epifaniche aspettative nel 2022. Il 2021 si è chiuso per noi con uno spettacolare Pil al +6.2 per cento, e la crescita del Pil non dirà tutto ma qualcosa lo dice. Gli irriducibile pessimisti attribuiscono la crescita semplicemente a un normale rimbalzo dopo il meno nove del 2020, ma non è così. La Spagna era scesa dell’undici e risale solo del 4.6, la Germania era scesa del 5.3 e risale soltanto del 2.7. In occasione delle festività natalizie non intendo salutare la nascita del nuovo salvatore. Le riforme di Mario Draghi non sempre sono state scintillanti, le sue mediazioni con l’ampia teoria dei partiti della maggioranza lo hanno limitato più di quanto si ami riconoscere, a dimostrazione che il presidente del Consiglio è senz’altro il meglio che si sia visto da decenni, ma in un sistema parlamentare resta al servizio dei partiti e degli interessi di consenso di cui sono portatori.
Però mezzo mondo ci fa i complimenti, dal Fondo monetario a Angela Merkel: un paese litigioso fino alle soglie del folklore che abbia accettato – in coda a una legislatura aperta con il surreale governo grilloleghista filo putiniano, filo orbaniano, filo cinese, antieuropeo, anti Nato, anticasta, anticamera dell’avanspettacolo – di riprendere dignità e stringersi attorno all’ex presidente della Banca centrale europea, uomo ascoltato e stimato in tutto il mondo, ecco, quello è un paese degno di un supplemento di fiducia. Probabilmente non è soltanto una questione di risultati ma di atteggiamento, esplicitato da Draghi non appena può: un senso di responsabilità nell’impiegare i denari del recovery perché sono denari arrivati, come scritto all’inizio, a tassi agevolati o a fondo perduto dalle tasse di altri cittadini europei.
Ora immaginatevi che questo paese fra un mese rinunci a eleggere Draghi al Quirinale, che magari subito dopo o al massimo nel giro di un anno lo congedi da Palazzo Chigi, che lo dichiari dunque un ingombro, lo dichiari inutile al mondo. Immaginatevi la bella immagine che daremmo di noi, della nostra consapevolezza, della nostra credibilità agli altri paesi europei, ai cattivissimi mercati, e saranno anche cattivissimi, ma detengono il nostro debito e quindi parte della nostra sovranità (gliel’abbiamo ceduta, non l’hanno rubata). Immaginiamocela un’Italia così. Non so voi, ma io indosserei l’elmetto.