Una volta mi capitò di passare alcune ore a scuola con Paolo Bonacelli (Civita Castellana, 1937), un attore immenso che resterà nella storia del teatro italiano ma anche del cinema. Guardate la lista dei film che ha girato e capirete che non c’è nessuno in Italia quanto lui che possa raccontare vita morte e miracoli di attori registi e attrici dello spettacolo italiano. Ieri sera ho rivisto per l’ennesima volta “Non ci resta che piangere” film del 1985 di Troisi e Benigni. In quel film Bonacelli faceva Leonardo Da Vinci e lui, su mia domanda, si è divertito a spiegarmi come hanno girato la scena. Dunque, coperto da trucco e parrucco per somigliare a Leonardo, Bonacelli fa una interpretazione solo mimica in cui non dice una parola ma si limita ad assecondare i due istrioni. Nel racconto che mi ha fatto ho scoperto che non una parola di quelle che vengono pronunciate era presente sul copione scritto dai due comici con Giuseppe Bertolucci. Bonacelli sapeva solo che per girare doveva arrivare presso il Laghetto del Pellicone, un piccolo lago che si trova al confine tra i comuni di Montalto di Castro e Canino, lungo il fiume Fiora, in prossimità del sito archeologico etrusco di Vulci. Sapeva che avrebbe interpretato Leonardo e non aveva battute da mandare a mente. Come succedeva ai film di Totò con Peppino De Filippo i due comici, molto amici nella vita, più che scrivere il dialogo preferivano improvvisarlo, per cui il terzo incomodo, Leonardo, doveva soltanto (così come da copione) ascoltare e restare incuriosito o sorpreso. Ad un certo punto Benigni recita la parte dell’infastidito (“questo non ce la fa”) e lascia Troisi solo a parlare con Leonardo. Quando torna trova Troisi che dalla scienza è arrivato a parlare di carte. Il dialogo tra Troisi e Bonacelli- mi ha raccontato quest’ultimo (la sera aveva uno spettacolo a Lamezia)- si è svolto così: Troisi spiega a Leonardo come si gioca a scopa e gli chiede, per vedere se ha capito il gioco, cosa farà se lui in mano ha un otto di spade. Per terra ci sono il settebello, un asso e la donna di coppe. A questa domanda Bonacelli, un pò perchè sovrappensiero un pò perchè non era un assiduo giocatore, rispose: prendo il settebello e l’asso. La prima cosa spontanea a cui pensò fu il settebello, ma Troisi, che non si aspettava la risposta, fu prontissimo a rimbeccarlo spiegandogli che non aveva capito niente, che doveva prendere la donna. Insomma, la scenetta finì con l’esaltazione dell’importanza delle “regole”, e il gioco di carte divenne la metafora della nostra vita basata su regole (non solo scientifiche) che esistono ma nessuno sa bene da dove derivino e perchè siano state poste. In quel dialogo ciò che Bonacelli ignorava per davvero fu il piccione dal cilindro che Troisi seppe tirar fuori senza che nessuno si sia accorto di come avesse fatto. Non era pre-visto, non era già scritto, era frutto solo della sua inventiva e fantasia, in un’ alchimia imprevedibile con un altro grande Artista che si chiama Paolo Bonacelli.
Nel 1991 Benigni lo volle in Johnny Stecchino e lì il ruolo dell’avv. D’Agata gli valse il Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista. Anche lì Benigni gli diede tutta la libertà che voleva, recitò la parte del cocainomane ed inventò per il personaggio frasi tic e posture. Insomma, Bonicelli mi ha spiegato che ci sono attori e registi che si appellano all’improvvisazione perchè non hanno idea di cosa scrivere. Ed altri che sanno come certe parole vanno scritte dopo che sono state pronunciate, perchè vengono fuori da situazioni e da incontri speciali.