Il mutismo selettivo della Juve

Sono anni che mi interrogo sul mutismo della Juve che non comunica con i suoi tifosi e col mondo, convinta che la riservatezza sabauda sia segno di eleganza in un mondo di lupi. I cori verso Moise Kean al suo ingresso in campo a Torino da parte dei tifosi napoletani non son degni neppure di una presa di posizione. Così come la vergogna o lo scandalo di Zielinski, messo in quarantena dall’Asl napoletana perchè non aveva fatto la terza dose dopo che erano passati più di 120 giorni, eppure schierato in campo dal Napoli e oggi scoperto positivo. Ma neppure una parola dopo le inchieste di Perugia o sulle plusvalenze per stigmatizzare la vergogna di intercettazioni pubblicate sui media nonostante il divieto. La comunicazione bianconera è un buco nero, basterebbe incaricare un giovanotto esperto di social preso da Juventibus o da Ateralbus per curare la comunicazione di una società per azioni nel mondo dove puoi essere messo in croce senza essere nè Gesù ma neppure Barabba.

Un autolesionismo che da quando è scomparso l’avv. Agnelli mi appare masochismo crudele ma soprattutto irriconoscente verso una grande comunità di gente che ti segue e si ritrova ogni giorno vittima di disinformazione collettiva. Con l’avvocato c’era il punto di riferimento, uno che con saggezza interveniva per esprimere la sua, e lo faceva con ironia, sarcasmo o acutezza da vero intenditore. C’era il fascino, il carisma, l’essere juventino come modo di guardare al calcio, dove l’unica cosa che conta non è vincere (non c’è nessuna predestinazione nel vincere, solo organizzazione) ma amare il calcio ed essere sportivi. Oggi solo silenzio, dopo essere andati in serie B e nove scudetti, come se il silenzio fosse il nostro giuramento d’onore, come se fossimo tutti adepti di una setta segreta che agisce coperta, nascosta, invisibile. Dal 2003 ( fra poco, il 24 gennaio sono ormai 19 anni) quando mancò l’Avvocato, il mutismo dei suoi eredi ci rende il più comodo bersaglio dei media coalizzati, dei social uniti, costretti come siamo a considerare un Mughini come fosse l’ingegnere Charles Bronson nella New York degli anni settanta dove la polizia è impotente contro i criminali e allora non resta che farsi giustizia da soli. Una Juve così amata a livello di massa costretta da una proprietà irriconoscibile ad affidarsi a solitari improbabili giustizieri. Io non sono un giustiziere, ma non si può sempre ogni giorno ingoiare rospi e porgere l’altra guancia. I perdenti cercano sempre scuse per giustificarsi, noi vincenti dovremmo essere come certi attaccanti ai quali consigliamo: sotto porta cerca di essere più cattivo. Il mutismo selettivo della Juve ci ha fatto diventare tutti come Checcho Zalone col bambino Lorenzo in Sole a catinelle: CO-ME- TI-CHI-A-MI?