Ogni anno lancio uno sguardo a Masterchef, la trasmissione Sky dove Cannavacciuolo, Barbieri e Locatelli selezionano aspiranti chef di varie tipologie. E’ ormai diventato un reality dove si raccontano storie di partecipanti problematici più che di piatti, ma i danni nella società li ha già provocati. Uno come me che al massimo sa fare una pasta (e a tavola voglio parlare di tutto ma non di cibo) ha capito cosa sia l’impiattamento (l’occhio vuole la sua parte) o l’idea del piatto (“in questo piatto c’è tutta la mia infanzia”, cioè la nonna). Crescono intanto le persone che a casa propria invitano amici per far degustare le loro pietanze, un fenomeno che se diventasse di massa oserei definire inquietante. Essere invitato a casa di un dentista o notaio o universitario che ti riceve con cappello e grembiule e poi scompare in cucina come se fosse il mio chef preferito che è Davide Oldani, a me terrorizza. Oldani è un milanese del 1967 col quale abbiamo in comune l’oroscopo della Bilancia (1 ottobre) ed è così grande che in tv non ci va. E a casa non invita nessuno. Sul territorio spuntano ristoranti che puntano alle stelle e per la bisogna ti presentano due cose: piatti minuscoli e conti salatissimi. Cominciamo dai conti salatissimi. E’ chiaro che ti rivolgi ad una clientela selezionata che poi è la stessa di cui parlavo prima, chef scuola radio Elettra con grembiule convinti di essere gourmet almeno quanto Hercule Poirot. Ma ci sta, la grande cucina ha bisogno di ingredienti e materie prime a km zero per cui la qualità si paga. Sulle porzioni minime (i tanto famosi assaggini) un mio amico esperto di cucina mi ha espresso la seguente considerazione. Se vuoi mangiare per riempirti vai in trattoria, se vuoi provare gusti mai provati prima ecco allora la cucina stellata. Osservazione logica e pertinente che si basa tutta sulla cd utilità marginale del consumatore. Da Abbruzzino a Catanzaro la mia esperienza fu positiva perchè tantissimi assaggi e cremine e ingredienti diviso il conto che pagai valsero la serata, ma non sempre è così. Gli chef talvolta (basta guardare Masterchef) paiono non rendersi conto che ogni idea prima di essere realizzata va collaudata. La domanda che Cannavacciuolo o Locatelli fanno sempre ai concorrenti è: ma lo hai assaggiato prima di portarcelo? Dunque la domanda è: se quello che mi porta lo chef stellato a me fa schifo, perchè lo devo pure pagare? Il difficile della cucina non è accostare sapori e gusti diversi (dolce e amaro, per es.) ma cotto e crudo o, per usare un termine calcistico, saper fare l’amalgama. Due ingredienti meravigliosi messi assieme magari non si sposano come pasta e cozze, anzi magari si accapigliano e si respingono. L’amalgama non si realizza e le papille gustative accolgono il disgusto. L’unica volta che andai da Alìa a Castrovillari dopo una zuppa bollente mi portò un gelato per dimenticarla. I contrasti in cucina sono un problema non una soluzione. Le porzioni minuscole in un piatto fanno tenerezza come un bambino lasciato da solo ad aspettare la mamma all’uscita da scuola. Il comico Battista guardando l’assaggino nel piatto chiede al cameriere: Capisco, il resto t’è caduto venendo al tavolo? E’ vero, l’arte non si misura sulla quantità. Una cosa è la cappella Sistina, un’altra un autoritratto di Rembrandt di soli 15 x 12,2 cm. Oppure pensiamo alla letteratura. Quella russa spazia dalle migliaia di pagine di classici come Guerra e pace o Delitto e castigo allo stile breve e conciso di Gogol’ ( Il naso o Il cappotto). Insomma i capolavori nell’arte possono avere piccole o grandi dimensioni, esprimersi attraverso molte o poche pagine. Ma anche in cucina c’è il problema della riproducibilità seriale dell’opera d’arte. Una cosa è cucinare per una sola persona, altra cosa è cucinare per cento. A Masterchef infatti fanno anche le prove in esterna. A me non piacciono in nessun campo gli estremisti per cui una volta feci molti chilometri per andare a mangiare allo Zenzero a Serra S. Bruno. Ma fui contento perchè le porzioni non furono minuscole anche se era evidente una ricerca per innovare la tradizione e mescolare ingredienti di grande qualità. Restano le mie perplessità sui ristoranti stellati dove la cucina si esprime attraverso “assaggi” (se sono meravigliosi o schifezze il cliente paga e pensa che a non capire niente è lui). Mi sa che hanno preso alla lettera il Gaber che cantava “se potessi mangiare un’idea”.