Caso Lucano, le “verità” al veleno di Palamara

Di sicuro, nel recentissimo Lobby e Logge di Luca Palamara e Alessandro Sallusti, uscito per Rizzoli la scorsa settimana, ci sono alcuni vizi, non proprio leggeri: l’ansia di rivalsa e il desiderio di autodifesa dell’ex presidente dell’Anm più la proverbiale allergia del direttore di Libero nei confronti delle toghe.
E tuttavia, le dichiarazioni al vetriolo dei due – che spesso vanno ben oltre il politicamente corretto – meritano una certa attenzione, per almeno due motivi: scombussolano un po’ le carte sulle questioni giudiziarie e, cosa più importante, si basano su fatti.
Anche per quel che riguarda la Calabria, che emerge in questo libro-intervista soprattutto per quel che riguarda alcuni aspetti del processo a Mimmo Lucano, terminato con una condanna più commentata che analizzata.

Le dichiarazioni di Palamara, sul caso Lucano, sono piccanti e argomentate.
All’ex magistrato romano non interessa la vicenda di Lucano in sé, ma solo come punto di partenza per polemizzare contro gli equilibri interni al potere giudiziario. Cioè gli assetti di potere di quello che lui, nel suo libro precedente, ha definito “Il sistema”.
Infatti, su Lucano l’ex capo delle toghe è piuttosto garantista: «Pur nel pieno rispetto delle motivazioni dei giudici di Locri, depositate il 17 dicembre del 2021, non mi spiego una pena così alta viste le imputazioni contestate e il contesto nel quale le condotte dello stesso Lucano si sono verificate».

Il vero bersaglio di Palamara è Emilio Sirianni, giudice della Corte d’Appello di Catanzaro, finito nei guai per via della sua amicizia per Lucano, in nome della quale si espose un po’ troppo, al punto di essere indagato dalla Procura di Locri e di subire un procedimento disciplinare davanti al Consiglio superiore della magistratura.
Per onestà è doveroso ribadire che i fastidi giudiziari di Sirianni sono solo un ricordo, visto che il giudice catanzarese è stato archiviato a Locri e prosciolto dal Csm nel 2020, quindi oltre un anno prima che Lucano venisse condannato.

Tuttavia, ciò non toglie che certe affermazioni di Sirianni siano pesanti, come rilevano i magistrati di Locri nell’ordinanza di archiviazione dell’inchiesta sul loro collega: «il comportamento mantenuto è stato poco consono a una persona appartenente all’ordine giudiziario, peraltro consapevole di parlare con una persona indagata».
Ma cos’ha detto di così pesante Sirianni?
Innanzitutto, c’è una battuta piccantissima su Nicola Gratteri, “colpevole” di non aver difeso a sufficienza Lucano. In altre parole, Lucano era preoccupato del fatto che il procuratore di Catanzaro si era dimostrato tiepido sull’inchiesta di Locri, limitandosi a un banale: «Sarei cauto, bisogna leggere le carte», dichiarato in tv ad Alessandro Floris.

Sirianni avrebbe cercato di rassicurare Lucano per telefono con un commento al peperoncino rivolto al magistrato antimafia più famoso d’Italia: «Lascialo stare, è un fascista di merda ma soprattutto un mediocre, un mediocre e ignorante».
Addirittura alla ’nduja le dichiarazioni di Sirianni su un altro calabrese di peso: Marco Minniti, all’epoca ministro dell’Interno nel governo Gentiloni, che viene definito «uno pseudo comunista burocrate che ha leccato il culo a D’Alema per tutta la vita».
Non entriamo nel merito di queste dichiarazioni, così come non ci è entrata la commissione disciplinare del Csm che ha prosciolto Sirianni perché ha detto quel che ha detto in privato e non in pubblico e quindi non ha discreditato la magistratura.

Compagni in toga
A essere pignoli, la frase più pesante del giudice di Catanzaro sarebbe quella in cui non ci sono parolacce ma tira in ballo un altro magistrato: Roberto Lucisano, presidente della Corte di Assise d’Appello di Reggio e compagno di Sirianni in Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe italiane.
Sempre stando alle intercettazioni riportate in Lobby e Logge, Sirianni avrebbe detto a Lucano una cosa non troppo sibillina: «Ho parlato con Lucisano, il quale mi dice che la procura di Locri sta indagando ma che su questo Magistratura democratica farà una crociata». Non è proprio poco visto che, commenta Palamara, Lucisano, in virtù del suo ruolo, potrebbe essere giudice di Appello di Lucano.
Ma l’ex magistrato evita i processi alle intenzioni e si sofferma, piuttosto, sull’aspetto ideologico della vicenda.

Un lungo virgolettato di un’altra intercettazione, riportato stavolta da Sallusti, chiarisce i motivi per cui Sirianni si è sbilanciato tanto nei confronti di colleghi ed esponenti di governo. E il diritto c’entra davvero poco.
Ecco il passaggio, che sa più di Potere Operaio che di Anm: «Magistratura democratica è nata con una cultura della corporazione, dicendo: noi non siamo giudici imparziali, o meglio noi non siamo indifferenti, noi siamo di parte, siamo dalla parte, siamo dalla parte del più debole, perché questo è scritto nella Costituzione, non perché questa è una rivoluzione».

Il commento di Palamara, che si riporta per dovere di cronaca, è piuttosto duro: «In questa intercettazione c’è tutto quello che ho vissuto nei miei undici anni alla guida del Sistema che ha governato la politica giudiziaria. L’egemonia culturale di sinistra che sovrasta la Costituzione, la partigianeria che interpreta la legge». Non è il caso di entrare nel merito di questa dichiarazione dell’ex magistrato, perché la vera notizia, in questo caso è un’altra.

La fornisce Palamara: «Strano che l’integrale di queste intercettazioni non sia mai uscito sui giornali, e ancora più strano che non siano mai arrivate al Csm, e non penso che sia stato un disguido delle poste». Dichiarazione sua, che spetta ai diretti interessati smentire.
Ma è una dichiarazione che, se non smentita, autorizza le peggiori dietrologie. Ad esempio questa, sempre di Palamara: «Penso che quelle frasi gravemente scorrette nei confronti di importanti magistrati e politici avrebbero creato dei grattacapi non solo a lui ma a tutta la sinistra giudiziaria».
Di sicuro queste dichiarazioni, che si prestano a tutte le strumentalizzazioni possibili, non aiutano a far chiarezza in una vicenda, quella di Mimmo Lucano, che richiede ben altra serenità.