Pasqualino Porchia che ci ha lasciati è stato mio collega al De Fazio ed entrambi portavamo sulle spalle gli anni settanta, per me il decennio più terribile della storia d’Italia.
Appena lo conobbi lo ricollegai ad un dettaglio che avevo letto di Flaubert, “nel 1840 si trasferì a Parigi e si iscrisse alla facoltà di Legge”. Non ricordo più se e quante volte gli abbia chiesto perchè dopo essersi iscritto a Legge anche lui non si fosse trasferito a Parigi. Amava così tanto la cultura francese che quando incontravo suo fratello Vittorio gli dicevo: ma perchè non te lo porti a Neuchatel? Cosa deve farci a Lamezia? Ma Vittorio non ci riusciva, Pasqualino come tanti altri ha amato restare qui. Le arti francesi ci univano tranne le sue canzoni che a me non piacevano.
Lui prediligeva il genere autorale che trovo melodrammatico perchè i cantanti francesi e Pasqualino hanno adorato Flaubert. Colpiti dall’esistenza del male, hanno sviluppato un pessimismo radicale per un mondo senza speranza né solidarietà.
Soprattutto dopo la grande illusione del ’68 in molti come lui si è manifestata la sensazione di vivere in un’epoca “arrivata dopo”, quando tutto è già avvenuto, in preda alla noia. Ma riconoscevi anche l’esasperato pessimismo di un Baudelaire, la sua tormentata malinconia, gli slanci verso ideali di bellezza assoluta, le rivolte, i rinnegamenti, le evasioni, sempre con una lucida coscienza del peccato.
Ci lascia in un momento che forse ha già descritto Shakespeare: La follia, mio signore, come il sole se ne va passeggiando per il mondo, e non c’è luogo dove non risplenda. Pasqualino aveva un sosia nel cinema, era l’attore britannico Alan Rickman conosciuto per il ruolo di Severus Piton nella saga di Henry Potter. Lo dico perchè sapeva ridere e non vorrebbe che fossimo tristi.