Finora i filosofi hanno soltanto interpretato il mondo – ha scritto una volta Karl Marx –; ora si tratta di cambiarlo!» Platone avrebbe apprezzato. A condizione di precisare l’opposizione tra teoria e azione, però: il compito della filosofia è cambiare il mondo (rendendolo più giusto, ad esempio); ma per fare questo prima di tutto è necessario capirlo. Non un’impresa di poco conto, certo – ma non è proprio per questo che abbiamo bisogno dei maestri, di persone capaci di guidarci nel labirinto delle nostre esistenze, pubbliche e private? Ecco perché la filosofia è importante.
Ma chi sono davvero i filosofi, e i veri maestri? Platone aveva delle idee originali in proposito. Socrate, il suo maestro, diceva di sapere solo una cosa, che non sapeva nulla. Strano per un maestro, e infatti Socrate affermava anche di non avere allievi. Proprio per questo – il paradosso è solo apparente – è stato il maestro più grande: perché quello che gli premeva era cercare, non impartire verità dall’alto del suo sapere. Voleva comprendere, non avere ragione. Degno erede del suo maestro, quando decise di intraprendere la strada della filosofia, Platone scelse di scrivere dialoghi. Sembra un dettaglio minore, e invece è decisivo. Perché componendo dialoghi e non trattati, Platone si è tolto dal centro della scena. Primo autore di un corpo consistente di testi (possediamo circa 36 dialoghi!), Platone nei suoi dialoghi non c’è: non è un personaggio, non compare negli scambi tra gli altri personaggi, non viene menzionato, è assente.
Dove è, allora? Da tutte le parti, probabilmente. In tutti i personaggi che si affacciano sulla scena dei dialoghi, anche in quelli più negativi o controversi, c’è qualcosa di lui, una traccia, un’intuizione, un dubbio. Perché Platone ha le sue idee, certamente, ma è allo stesso tempo consapevole della complessità delle cose: che il mondo in cui noi ci muoviamo è come un labirinto, o una caverna male illuminata, in cui il rischio dell’errore è sempre presente. E dunque bisogna imparare a dubitare prima di tutto delle proprie certezze, per imparare a vedere quello che ci sta davanti. Per questo Platone preferisce lasciar parlare i suoi personaggi, ognuno impegnato a difesa della propria idea: perché vuole capire con loro. La realtà è troppo ricca, complessa, affascinante per smettere di cercare, ergendosi a guida suprema, pontificando a destra e manca.
Anche perché, quando s’inizia a mettere il proprio io al centro della scena, il rischio è poi che il nostro io prenda il sopravvento. Facile, in teoria, affermare che importa solo la ricerca della verità, e non certo noi stessi. Ma in pratica, nella realtà concreta di un dibattito televisivo, di uno scontro su twitter o di una diretta su instagram, quando si viene magari criticati? A seguire certe discussioni, in cui sullo sfondo di fiumi di parole sembra di sentire un coro di voci che gridano «Io! Io! Io!», viene da pensare che Platone non è stato soltanto il più grande filosofo, e dunque il più grande maestro, ma anche un conoscitore sottile dell’animo umano, e delle sue vanità.