(francesco cundari) i deliranti discorsi del tiranno russo e dei suoi seguaci ci offrono uno specchio, per quanto deformante, in cui faremmo bene a guardare
Con l’invasione russa dell’Ucraina abbiamo visto molte cose che fino a un attimo prima consideravamo inimmaginabili, almeno in questa parte del mondo, ma forse quelle che dovrebbero preoccuparci di più sono le cose che ci appaiono invece straordinariamente familiari.
In uno degli ultimi discorsi di Vladimir Putin trasmesso in tv molti hanno giustamente riconosciuto i classici temi del periodo più buio dello stalinismo: la denuncia di «quinte colonne» e «traditori» annidati ovunque, a giustificare la «necessaria opera di purificazione» (la traduzione inglese parlava di «self-purification», ma suppongo che la traduzione storicamente più precisa sia «purga»), senza dimenticare l’appello alla collaborazione dei cittadini, nella convinzione che sapranno «distinguere i veri patrioti dalla feccia e dai traditori», che «sputeranno via come moscerini».
Tutto ciò è un purissimo distillato degli anni trenta, parole e idee che si potevano ascoltare pari pari nell’Urss di Stalin, come del resto anche nella Germania di Hitler, e questo ormai non può stupire nessuno.
Quello che invece dovrebbe colpire è un altro passaggio del discorso, che riecheggia un repertorio di argomenti, slogan, immagini e metafore, una retorica e perfino un lessico assai più recenti. Ad esempio quando Putin irride «coloro che hanno una villa a Miami o in Costa Azzurra, che non possono fare a meno del foie gras, delle ostriche o delle cosiddette libertà di genere», con lo stesso tono con cui un politico italiano avrebbe parlato degli intellettuali della Ztl, della sinistra schiava dell’élite e della dittatura del gender.
Per non parlare di quando se la prende con la «casta», testuale, scandendo ripetutamente: «…È ciò che pensano, per loro è un segno di appartenenza a una casta… Questa gente sarebbe pronta a vendere la madre solo per il permesso di sedere nell’anticamera di questa casta superiore…».
Non ritorno poi sugli ultimi deliri di intellettuali putiniani come Alexander Dugin, non per niente un idolo dell’estrema destra occidentale, convinto che questa non sia «una guerra contro l’Ucraina», bensì contro il «globalismo» e «l’élite liberale atlantista», di cui farebbero parte tutti i leader europei, e ovviamente contro gli immancabili George Soros e Bill Gates. Un delirio che dovrebbe suonare alle nostre orecchie non meno familiare.
Prima di inorridire per il livello degli argomenti utilizzati dal tiranno di Mosca e dai suoi seguaci, domandiamoci dunque quanto di quello stesso materiale abbiamo utilizzato e diffuso a piene mani anche noi – noi giornalisti, politici e politologi – negli ultimi anni. Le farneticazioni di Putin ci offrono uno specchio, per quanto deformante, e faremmo bene a guardarci.
A scanso di equivoci, però, meglio aggiungere una precisazione: non sto dicendo che nel nostro paese qualcuno abbia alimentato quel genere di retorica perché agli ordini o comunque a libro paga della Russia. Anche perché, in entrambi i casi, la considererei un’attenuante.