Dietro la minaccia della Russia rivolta direttamente all’Italia, straordinaria per la sua ambiguità e unicità nella storia dei rapporti fra i due Paesi, c’è una questione politica di fondo: Mario Draghi sta spostando l’asse del Paese là dove era sempre stato negli ultimi 75 anni, nell’Alleanza atlantica e in un’adesione senza ambiguità al blocco delle democrazie liberali. Le sbandate della prima parte di questa legislatura sono alle spalle. In questo il premier è sostenuto da buona parte della maggioranza (benché, come vedremo, non tutta) ed è esattamente in questo che le aspettative di Mosca stanno andando deluse.
Qualcuno al Cremlino sperava in uno sviluppo diverso, in queste settimane. Si contava di poter fare affidamento sull’Italia non tanto perché Roma offrisse un sostegno più o meno larvato alla Russia, ma perché il governo Draghi opponesse una certa vischiosità e resistenza passiva nei vertici europeo alle sanzioni più dure contro la Russia per l’aggressione all’Ucraina.
Tutto questo non sta accadendo, anzi si verifica l’opposto. Non solo il governo italiano non ha opposto alcuna remora alle sanzioni più dure adottate fin qui, non solo non ha cercato di prendere tempo prima che fossero decise. Ha fatto di più, ed è questo l’aspetto che probabilmente ha innescato le minacce russe: l’Italia ha preso l’iniziativa di proporre nuove misure per privare Mosca di finanziamenti, nella forma di un tetto ai prezzi del gas naturale molto di al sotto delle quotazioni attuali. È una misura che si sta negoziando in queste ore fra capitali europee e andrà in discussione al vertice della settimana prossima. Se l’Europa adottasse le proposte attuali, presentate a Bruxelles da Draghi e dal ministro della Transizione Roberto Cingolani, la macchina statale e militare di Vladimir Putin perderebbero molte decine di miliardi di euro già solo quest’anno. Lo sforzo bellico in Ucraina ne sarebbe indebolito, così come sarebbe in parte indebolita la presa del dittatore su un Paese che si impoverisce. Quel tetto ai prezzi non sarebbe risolutivo del conflitto, ma l’evidenza delle minacce dice che è una misura che Mosca troverebbe di ostacolo.
Non solo: il parlamento italiano su spinta del ministro della Difesa, Roberto Guerini, si è anche pronunciato per un forte aumento della spesa militare. Anche qui in chiave filo-atlantica e di contenimento della minaccia russa sull’Europa. I soli nella maggioranza a opporsi realmente in questa fase, anche se non sempre in modo esplicito, sono i 5 Stelle di Giuseppe Conte. Gli stessi che non sempre hanno pronunciato parole chiare sull’aggressione di Putin all’Ucraina.
Il tentativo di intimidire l’Italia nasce da qua. Ma l’ambiguità e la sproporzione della minaccia («con altre sanzioni conseguenze irreversibili») dà soprattutto la misura del fatto che le misure stanno funzionando. Che le sanzioni esistenti e future sono temute al Cremlino perché sono efficaci. Sono i russi che ce lo stanno dicendo.