La televisione, tre modi diversi di pensarla, ma se non vedi il brutto come riconosci il bello?

La televisione, secondo il prof. Aldo Grasso, si trova adesso nel suo terzo stadio. Il primo è stato il modello iniziale, la tv pedagogica che doveva acculturare il popolo (il maestro Manzi, i grandi sceneggiati) come volevano i cattolici ma anche i comunisti con la loro idea di cultura alta e il disprezzo per la cultura di massa.
Poi c’è il secondo modello, la tv commerciale e privata che ha incentrato il suo business sull’intrattenimento e sulla domanda del pubblico (audience). Ma anche la Rai del servizio pubblico (e della lottizzazione partitica), la foglia di fico per giustificare il canone ma non i programmi fatti in concorrenza con quelli dei privati. Infine c’è il terzo modello, quello della convergenza, ormai ben disegnato sulle esigenze del pubblico più giovane. La tv non si guarda più negli orari canonici con il telecomando in mano, ma ciascuno nella giornata si crea il suo palinsesto personale, come già avveniva con le playlist di musica. Si guardano pezzetti di programmi su you tube, si scaricano intere serie tv per vederle quando e quanto si vuole, si registrano film e altri programmi per vederli negli orari più comodi. Insomma, con vari devices, tv, tablet, smartphone, la tv si vede on demand. Ognuno così come ha la sua tariffa del cellulare, si costruisce la tv che vuole, da vedere da soli o con chi con-divide i tuoi gusti (la famiglia si è dissolta).
Restano grandi appuntamenti intergenerazionali o internazionali, dal Festival di Sanremo ai campionati di calcio, dalle dirette straordinarie per eventi o calamità alla messa la domenica o il messaggio di fine anno del presidente della Repubblica. La tv della convergenza riunisce vari medium, si guarda dove, quando, con chi si vuole, è il palinsesto su misura che ciascuno di noi è in grado di costruirsi. I social fanno tutto il resto e spesso e volentieri forniscono tutta l’informazione desiderata (da quella politica a quella sportiva a quella specialistica).
Secondo Aldo Grasso c’è però una cosa curiosa da segnalare che si capisce pensando ai programmi che ognuno di noi si può registrare/scaricare per procedere poi ad una visione del tutto personale. La cosa curiosa è che la tv diventa simile ad un libro che acquisti e poi decidi tu quando e come leggere. Una serie tv di 12 puntate si può vedere cominciando dalla fine o saltando le puntate, insomma forse stiamo tornando agli oggetti che accumuliamo in casa, come abbiamo fatto con i dischi, i libri, i film, le videocassette. Anche i programmi tv (e quindi musica, cultura, cinema, documentari, storia, varietà, quiz, talk, notizie) si possono mettere “in pausa” pronti nel forno per essere mangiati a nostro piacimento. Della tv ormai molti di noi fanno le scorte da consumare a discrezione, qualsiasi programma può essere visto, rivisto, mandato al rallentatore, sbobinato. Con la tv si fa quel che facevamo con i libri e la musica, mentre una volta vedevi in diretta Renzo Arbore o Benigni e poi li ri-vedevi soltanto anni dopo con techetechetè o sul Blob.
Tre modelli di tv che sono anche tre modi di utilizzare il mezzo il quale negli anni si è evoluto o è cambiato nelle mani di spettatori diversi. La nostalgia per la tv delle gemelle Kessler o del tenente Sheridan, di Studio 1 o della Tribuna politica, si spiega con l’età avanzata dello spettatore ma anche con qualche rimpianto per una politica una società e uno Stato che si definiscono da prima Repubblica. Con le virtù e i difetti della prima Repubblica. Si discute di tv dunque mentre la si utilizza in modi diversi e la si consuma con modalità differenti. Ma, ecco il punto, la tv è una ma ci sono modi diversi che coesistono, l’uno non esclude l’altro. Succede la stessa cosa con i medium, la tv non ha distrutto la radio, e radio e tv non hanno cancellato il cinema o i libri. Internet non ha eliminato le librerie o i giornali di carta, come si pensava o immaginava, tutto si trasforma ma i media non si cannibalizzano e si allineano uno accanto all’altro.

Quelli che nel tempo hanno decretato la morte della radio o dei giornali, dei libri o del cinema, adesso per esempio dicono che la tv di qualità è morta, mentre osservano inorriditi gli uomini e donne di Maria De Filippi, le liti dentro i talk, le intemerate di Sgarbi, i no-vax chiamati a dibattere con gli scienziati. La qualità che ci manca nella tv ci fa pensare alla legge di Gresham, la moneta cattiva che scaccia quella buona, al Cicerone de “o tempora o mores”. Se io mi seleziono, fiore da fiore, i miei programmi preferiti e li rivedo quante volte voglio, opero una selezione che mi libera, mi disintossica dalla tv cattiva.

Quando c’era un solo canale o due, lo spettatore era passivo, ma lo è anche oggi, nonostante sulla carta ci sia la concorrenza tra reti diverse, perché esse danno le stesse cose allo stesso pubblico. La tv della convergenza seleziona il mio bello. Solo che, ecco il problema, se non guardo mai il brutto, come posso sapere cosa sia il bello? Solo la cattiva tv ci fa apprezzare la buona tv. Può esistere un critico letterario, cinematografico, d’arte che abbia costruito la sua sapienza senza praticare il brutto, il mediocre, l’orribile? Anche lo spettatore, giovane o vecchio, ricco o povero, soltanto se ha frequentato il basso e l’alto può orientarsi nella cultura di massa. Dall’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin e dagli studi di Umberto Eco, per fare il nome soltanto di due grandi intellettuali, abbiamo compreso che talvolta siamo apocalittici altre volte integrati nei confronti della cultura di massa. Si passa da un atteggiamento critico e aristocratico ad una visione ingenuamente ottimistica, e talvolta la stessa persona lo è nella stessa giornata.