George Orwell non è solo il grande scrittore della Fattoria degli animali, di 1984 e di molti altri romanzi e racconti. Egli è stato anche un importante autore di scritti politici, disseminati nel corso della sua breve vita e pubblicati principalmente negli anni ‘30 e ‘40 in articoli per giornali e riviste. (…)
Come si legge nell’introduzione a una raccolta francese dei suoi scritti politici: «Nonostante l’immensa celebrità di Orwell scrittore il suo pensiero resta ampiamente ignorato o incompreso. ..È tempo di leggerlo come una figura maggiore, e ormai classica, del pensiero politico del ventesimo secolo, allo stesso titolo di un Gramsci o di una Hannah Harendt».
Stiamo parlando di Orwell oggi, nel pieno della crisi internazionale prodotta dall’invasione russa dell’Ucraina, perché a distanza di un’ottantina d’anni le sue riflessioni politiche rappresentano un’importante chiave di lettura per comprendere cosa sta avvenendo. Utilizzo solo alcuni spunti, per ragioni di spazio, e parto da un breve frase che lui scrisse in tema di distinzione tra destra e sinistra in una corrispondenza privata nel 1948: «La vera distinzione non è tra conservatori e rivoluzionari bensì tra i partigiani dell’autorità e i partigiani della libertà». All’epoca il Regno Unito era appena uscito vittorioso dalla lunga guerra scatenata dai regimi autoritari che si erano progressivamente impossessati dell’Europa continentale tra gli anni ’20 e ’30 sino a cancellare completamente, con l’occupazione della Cecoslovacchia nel 1938-39 e la sconfitta e subordinazione della Francia nel 1940, ogni residuo di democrazia parlamentare a sud delle isole britanniche e della penisola scandinava.
Oggi fortunatamente la situazione è completamente differente all’interno dell’Europa ma altrettanto non si può dire riguardo a ciò che accade ai suoi confini e non si può non guardare con preoccupazione al fil rouge che lega, in una sorta di internazionale reazionaria, nuovi e differenti autoritarismi, dalla Russia di Putin ai movimenti sovranisti che hanno intorbidato in questi anni, per fortuna senza risultati fatali, diverse democrazie europee, sino alla parabola americana di Trump, culminata con l’assalto al Campidoglio, e al Brasile di Bolsonaro.
Di tutti questi esempi il più eclatante non è tuttavia la Russia di Putin, trattandosi di un paese totalmente privo nella sua storia di durature esperienze liberaldemocratiche, bensì gli Stati Uniti, nei quali l’avvento di Trump ai vertici del partito che fu di Lincoln e di Theodore Roosevelt ha rappresentato una decisa rottura con due secoli e mezzo di percorso esemplare delle istituzioni democratiche. È sorprendente, ed è molto pericoloso, che una quota rilevante di elettori repubblicani non abbia accettato la sconfitta di Trump da parte di Biden e che ritenga inconcepibile di aver perso nelle urne, mostrando di preferire il successo a qualunque costo del proprio candidato rispetto al corretto funzionamento delle procedure elettorali.
Che molti repubblicani, sembrerebbe più della metà, amino Trump più della democrazia del loro Paese è uno dei segni più evidente di come il pendolo della storia abbia svoltato verso il partito dell’autorità, allontanandosi dalla tradizione liberaldemocratica angloamericana che così grande ruolo ha avuto negli ultimi ottant’anni sullo scenario internazionale nel salvarci dapprima dal nazifascismo e nel proteggerci in seguito dal rischio sovietico. Orwell avrebbe avuto molto da dire se avesse potuto osservare in tempi recenti Boris Johnson al posto che fu di Winston Churchill e Donald Trump in quello di Franklin Delano Roosevelt. E anche Vladimir Putin al posto di Josif Stalin, il quale approfittò del patto Molotov-Ribbentrop per riportare nel perimetro russo un pezzo di Polonia, provarci senza successo con la Finlandia e riuscirvi con gli stati baltici e la Bessarabia, ora Moldavia.
Putin avrebbe osato provare a modificare in maniera netta, unilateralmente e manu militari, i confini dell’Europa se il pendolo non avesse preso con decisione da diverso tempo, fuori dai suoi confini dopo averlo fatto in precedenza nella madrepatria, la direzione del partito dell’autorità? Difficile credervi e infatti non vi aveva sinora provato, Crimea a parte, pur essendo al potere da ormai quasi un quarto di secolo. Ha dovuto attendere con pazienza per più di venti anni che il terreno in occidente divenisse favorevole per la sua semina autoritaria, contribuendo a fertilizzarlo in tutti i modi possibili. Le democrazie occidentali sono deboli e ingenue e possono essere scalate finanziando, probabilmente con pochi soldi, movimenti e leader politici, acquisendo il consenso di manager e decisori di governo che sono in grado di creare legami di dipendenza dalle forniture russe di materie prime che non possono essere recisi facilmente una volta consolidati. La nomina dell’ex primo ministro tedesco Gerhard Schröder ai vertici del colosso statale Gazprom non è stata che la ciliegina sulla torta di questa evidente strategia, il personaggio più autorevole inserito nella squadra all’interno del cavallo di Troia che Putin ha regalato all’occidente.
Dunque oscillazione del pendolo, in questo caso in parte spontanea e in parte favorita, “oliata”, potremmo dire. Orwell era consapevole dell’oscillazione e 1984 è una messa in guardia contro il caso peggiore della deriva totalitaria: «L’azione del libro si svolge in Gran Bretagna – egli scrive – per sottolineare che i popoli di lingua inglese non sono per natura migliori degli altri e che il totalitarismo, se non è combattuto, potrebbe trionfare ovunque». E in un testo della seconda metà degli anni ‘30 si legge: «Potrebbe essere un cattivo segno per uno scrittore non essere sospettato oggi di tendenze reazionarie così come era un cattivo segno venti anni fa non essere sospettato di simpatie comuniste».
Nell’immediato primo dopoguerra sembra che il comunismo andasse di moda tra gli intellettuali per poi lasciare presto il posto agli -ismi di segno contrario, fascismi e nazismo. Il pendolo aveva cambiato direzione e si sarebbe rapidamente inoltrato sino alla tragedia estrema della seconda guerra mondiale. E dopo essersi nuovamente voltato nella direzione delle libertà e avervi raggiunto dopo quasi mezzo secolo la massima espansione con il 1989 e il post 1989 ha nuovamente fatto marcia indietro in direzione autoritaria raggiungendo, io credo, il suo limite con la presidenza Trump negli Stati Uniti e la guerra in corso della Russia all’Ucraina.
Quando il pendolo della storia volge verso la libertà allora la pace e la prosperità sono assicurate in maniera crescente. Quando volge verso l’autorità esse sono a rischio e possono nuovamente sorgere venti di guerra. Nell’uno e nell’altro caso sono presenti nella società civile persone particolarmente attente al tema della pace che tuttavia poco si notano nel primo, dato che la corrente va spontaneamente nella loro direzione, e molto si notano invece nel secondo. Chi sono e cosa vogliono i pacifisti quando il pendolo volge all’autorità? Orwell li ha visti in azione e ne ha scritto con chiarezza e precisione. Noi che li rivediamo ora abbiamo tutto l’interesse a rileggerlo.
«È un fatto che il pacifismo non esista se non in comunità i cui membri non credono alla possibilità reale di una invasione e di una conquista straniera… Nessun governo potrebbe operare secondo principi puramente pacifisti, poiché un governo che rifiutasse di ricorrere alla forza in qualsiasi circostanza potrebbe essere rovesciato da chiunque fosse pronto a utilizzare la forza. Il pacifismo rifiuta di affrontare il problema del governo, e i pacifisti pensano sempre come persone che non si troveranno mai in una posizione d’autorità, ed è per questo che li considero irresponsabili…».
E inoltre: «La propaganda pacifista tende naturalmente a dire che i due campi sono egualmente cattivi; ma se si studiano più attentamente gli scritti dei giovani intellettuali pacifisti, si vedrà che, lungi dall’esprimere una disapprovazione imparziale, essi sono diretti quasi interamente contro l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Inoltre, inevitabilmente, essi non condannano la violenza in se stessa, ma solamente la violenza che è utilizzata per difendere i paesi occidentali. I russi, a differenza degli inglesi, non sono in alcun modo biasimati per il loro apparato bellico». Infine un’affermazione che risale all’epoca bellica: «Se Hitler potesse conquistare l’Inghilterra cercherebbe, ipotizzo, di favorire qui lo sviluppo di un ampio movimento pacifista, in grado di impedire qualsiasi resistenza seria e facilitargli il controllo del paese».
Orwell, che si arruolò volontario coi repubblicani spagnoli, non aveva dunque una grande opinione dei pacifisti, considerandoli nell’ipotesi più benevola portatori di errori logici e in quella meno benevola dei potenziali utili idioti a sostegno dei despoti che le guerre le scatenano.