Calcio/ Il mio trio delle meraviglie, Vitale, Pileggi e Di Cello

Nel 1957 arrivò in Italia Omar Sivori il quale era riconoscibilissimo in campo per i calzettoni abbassati e la zazzera per cui divenni juventino e da allora amo il calcio degli estrosi e di quelli che sanno fare il dribbling, categoria ormai residuale in quanto si prediligono marcantoni e atleti. Nel 1962 scopro nel Genoa Gigi Meroni che diviene, accanto a Sivori e Mariolino Corso, un altro mio idolo eterno sino al ’67 quando il destino ce lo strappò mentre attraversava corso Re Umberto a Torino. Ho raccontato queste mie tre predilezioni per spiegare perchè quando vidi giocare Tonino Vitale nella Vigor egli divenne il mio idolo locale. Guardandolo dagli spalti non avrei però immaginato che nella vita avrei poi giocato nei campetti insieme a lui e agli altri amici comuni, legandomi in quell’ amicizia semplice che ha unito calcio e vita, perchè Tonino è la persona più generosa che io abbia conosciuto. D’estate ci ha scarrozzato con la sua Lancia per la Calabria e quando giocavamo a S. Eufemia davanti alla chiesa il suo estro era sempre al servizio degli altri fino a quando non si buttava sull’erba e invocava l'”ossigeno”. Tonino è stato il mio Best e il mio Meroni e conoscendolo ho poi capito perchè non ha fatto  carriera in serie A e B e di fatto si è fermato a Marsala dove lasciava l’albergo calandosi dalla finestra. Doveva tornare dalla sua Gisella ed è stato giusto così, per tutti, anche per noi che pertanto ce lo siamo goduti di più. Il contrario ha fatto Danilo Pileggi il quale nel 1975 se ne va ad Alessandria e lo ritroviamo un anno dopo trasformato nel fisico. Lo avevamo lasciato mingherlino e quando parte abbiamo il timore che la lontananza da casa e dalla mamma, come succede per tanti, possano avere il sopravvento. Invece lui ha personalità e maturità e vive il distacco come una tappa per realizzare i suoi sogni. Noi eravamo amici di Enzo, il fratello grande (futuro cardiologo), il quale giocava con noi ed era un centravanti alla Firmino (Bayern), molto tecnico e innamorato del pallonetto che usava per superare l’avversario. Un giorno arriva a S. Eufemia col fratellino e la prima cosa che ci colpisce vedendo giocare Danilo è il tiro potente, rispetto al fisico di un ragazzo filiforme. Poi è altruista, passa la palla a chi è meglio piazzato, ha visione di gioco. Il problema diventa ben presto con chi deve giocare ma dopo un pò me lo lasciano a condizione che con me e lui giochino tutti gli scarsi. La cosa più simpatica che avviene con Danilo in mezzo succede a Platania dove alla Giurranda d’estate organizzano il primo torneo in un campo di calcetto. La mia squadra viene eliminata da una squadra locale che impone la sua irruenza e forza fisica, così non ci resta che dar loro appuntamento per l’estate successiva. Al torneo n. 2 ci presentiamo con Danilo il quale da solo ci fa vincere sotto gli occhi dei giocatori del Catanzaro che sono in ritiro col mister Di Marzio. Proprio con questi abbiamo un diverbio per una frase pronunciata su Danilo, e noi grandi gli facciamo presente che è sconveniente per lui schernire un ragazzo perchè è troppo bravo. Di Marzio e tutti i calciatori catanzaresi non sanno immaginare che quello dopo qualche anno giocherà in serie A col Torino di Radice.

Di tanto in tanto lasciavamo S.Eufemia per organizzare partite al D’Ippolito contro la squadra di Mimmo Bambara oppure tra di noi, e una volta arriva un ragazzino con Danilo con i lineamenti dolci e una educazione inusuale per la sua età. Cominciamo a giocare e questo ragazzo ci incanta per il suo tocco di palla, gioca di destro e sinistro con una classe sopraffina. Se Danilo era corsa, lanci, tiro, gioco di prima senza fronzoli, questo ragazzino ci ricorda Rivera. Si chiama Giovanni Di Cello e quel giorno si apre un dibattito per indovinare quale dei due sarebbe arrivato più lontano. Purtroppo ieri come oggi per avere successo bisogna lasciare Lamezia e Pileggi nel 1975 va ad Alessandria mentre Di Cello in Promozione fa la sua comparsa nella Vigor del presidente Dattilo. Giovanni sposerà poi la figlia del mio affettuoso barbiere Caruso e resterà con Danilo e Tonino a formare nel mio immaginario il  trio delle meraviglie. Pileggi insieme con il fratello Enzo e il padre don Antonio lo abbiamo seguito in varie trasferte e a Lecce i biglietti per la partita (e il pranzo) ce li offrì Luciano Moggi in persona  che incontrammo  in albergo. Mi è rimasto in mente quello che Moggi disse al padre salutandolo, gli disse che doveva essere orgoglioso di avere un figlio così ben educato.