Il pop ha il tempo in quattro/quarti (one-two-tree-four. L’ultima battuta s’appoggia su una tronca: four nella pronuncia diventa fo’). In italiano invece quattro è bisillaba. E infatti ogni parola regolare, piana, in italiano vuole l’accento sulla penultima sillaba: quà-ttro. Ma se ascoltando una canzone proviamo a battere il tempo in italiano diremo: un-du’-tre-qua’, per finire con una tronca. Il problema della lingua italiana nelle canzonette rispetto all’inglese è che noi dobbiamo timbrare le finali. E per scrivere canzoni rock o pop occorre invece troncarle: perché, te, me, andrò, più… “Non son degno di te/ non ti merito più” di Gianni Morandi è un esempio del problema. Il rock e il pop vogliono finali accentate. Pino Daniele pertanto ha creato una lingua nuova, l’anglo-napoletano, per cui aveva le parole interne in napoletano e quelle finali in inglese («yes I know my way/ mo’ nun me futte cchiù»). Per necessità la canzone italiana è declinata al futuro o al passato remoto. Andrò, camminerò, andò, camminò…, e poi tanta felicità, fatalità, città, perché? Inoltre aiutano le sdrucciole (Fossati è il re) perchè l’accento sulla terzultima sillaba consente di glissare sulle successive. In conclusione, la musica è una gabbia, e dentro ci si muove come si può.
Tutto ciò premesso, il testo in rima è già un esercizio impegnativo, faccio degli esempi:
BENNATO Sono sole canzonette/ Non mettetemi alle strette
MOGOL Dove vai quando poi resti sola?
Senza ali tu lo sai non si vola
Io quel dì mi trovai per esempio
Quasi sperso in quel letto così ampio
Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei
Io la morte abbracciai
MOGOL Un magazzino che contiene tante casse
Alcune nere, alcune gialle, alcune rosse
Dovendo scegliere e studiare le mie mosse
Sono all’impasse
DE ANDRE’ Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chieder perdono per ogni peccato.
BAGLIONI C’è chi va via col vento/
per non partir da solo/ chi si allontana col passo lento/
di un sogno preso a nolo.
Al di là delle rime, il testo tipico è riassumibile in quelli che produce Nek
(DIMMI COS’E’) Dimmi dimmi dimmi cos’è
cos’è che c’è
dimmi dimmi dimmi cos’è
che c’è tra noi
forse i troppi impegni che hai
sempre diversi
quest’amore a sorsi lo sai
non mi va
cosa credi che sia
Come si vede il testo si costruisce con bisillabe e tronche. In genere, per questo impedimento oggettivo, le parole si affastellano e solo con un pò di buona volontà l’ascoltatore s’inventa un senso (il gioco del telefono senza fili). I parolieri migliori sono quelli che affastellando riescono a completare una storia comprensibile (es: La compagnia, di Lucio Battisti, testo di Mogol). Per ovviare alla mancanza di senso si ricorre allora alle figure retoriche (il tentativo del paroliere di assurgere al rango di poeta), che sono delle espressioni letterarie molto particolari, degli artifici linguistici che hanno lo scopo di creare un particolare effetto all’interno della frase, una deviazione dal linguaggio comune, un interessante e al contempo sorprendente contrasto.
Con le figure retoriche il cantante si spaccia per poeta e quando viene intervistato si inventa la parafrasi, rivelando significati “nobili” e “messaggi” nascosti nelle pieghe del testo. Per es. Gino Paoli è arrivato a dire che la sua “Il cielo in una stanza” parlerebbe di un orgasmo provato con una prostituta: l’indizio sarebbe il soffitto viola della stanza. Si tratterebbe pertanto di una allegoria, una metafora animata e prolungata. Se avesse usato il colore “verde” avrebbe detto che la stanza era in un ospedale.
Quando sei qui con me
Questa stanza non ha più pareti
Ma alberi
Alberi infiniti
Quando sei qui vicino a me
Questo soffitto viola
No, non esiste più
Zucchero, che di suo ha evidenti difficoltà grammaticali e sintattiche, in veste di paroliere è arrivato a spiegare che in una sua canzone “zio“, che faceva rima con “mio”, era un omaggio ad un musicista che chiamavano “zio”. Insomma, la parafrasi è libera, è o non è la poesia il mezzo più ermetico che possa inventarsi tralasciando l’enigmistica?
Ivano Fossati e’ considerato da molti un “autore poetico”. Non ho ancora capito perche’ e fornisco subito degli esempi. In molti versi utilizza l’epanodo (consiste nel riprendere una parola o una frase già detta per arricchirla con nuovi particolari). Ama molto anche la dilogia ( formula retorica per cui una parola viene ripetuta più volte, in momenti diversi, per dar maggiore forza espressiva al discorso).
Ma intanto guardo questo amore/ Che si fa piu’ vicino al cielo/ Come se dietro all’orizzonte/ Ci fosse ancora cielo
Sono io che guardo questo amore/Che si fa piu’ vicino al cielo/Come se dopo tanto amore/Bastasse ancora il cielo (La costruzione di un amore)
Usa anche l’ hysteron proteron (in greco significa “l’ultimo al posto del primo”). Insomma inverte le parole per creare una particolare tensione espressiva.
Crescere i capelli l’amore fa (L’amore fa)
Spesso e volentieri nell’affastellare i parolieri ricorrono ad una prevalente figura retorica che è l’antitesi (accostamento all’interno della stessa frase di termini o concetti di senso opposto) oppure l’ossimoro (es: ghiaccio bollente)
FIORELLA MANNOIA (MARIPOSA) Valgo oro e meno di zero/ con le scarpe e a piedi nudi
MOGOL (IO VORREI, NON VORREI…) le discese ardite/ e le risalite
DIODATO (FAI RUMORE) Ma fai rumore sì
Ché non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale
JOVANOTTI (A TE) A te che credi nel coraggio
E anche nella paura
Dopo un giorno pieno di parole
Senza che tu mi dica niente(PER TE) è per te il dubbio e la certezza
la forza e la dolcezza
DE ANDRE’ (Amore che vieni, amore che vai)
io t’ho amato sempre, non t’ho amato mai
amore che vieni, amore che vai
Io ti conosco da sempre, ti amo da mai
Ora è già tardi, ma è presto se tu te ne vai
Fai finta che solo per noi due
Passerà il tempo, ma non passerà
BAGLIONI (STRADA FACENDO) e giovane e invecchiato mi son detto tu vedrai vedrai
(Un piccolo grande amore) solo un piccolo grande amore
niente più di questo, niente più!
MILLE GIORNI DI TE E DI ME Ci separammo un po’ come ci unimmo
LA VITA E’ ADESSO e cieli smarginati di speranza
e di silenzi da ascoltare
IO SONO QUI siamo tutti dentro la storia
tardi o presto
Un esempio di onomatopea (riproduzione attraverso le parole di suoni o rumori)
Ricordo ancora il suono, “click, boom-boom-boom”
Senti il mio cuore fa così, “boom-boom-boom” Corro da te sopra la mia “vroom-vroom-vroom” Prendi la mira baby, “click, boom-boom-boom”, “boom-boom-boom”(Click boom, Rose Villain)
Un esempio di eufemismo (sostituzione di una espressione troppo cruda con una piu’ attenuata)
Vuole saper se e’ vero quel che si dice intorno ai nani,
che siano i piu’ forniti della virtu’ meno apparente,
fra tutte le virtu’ la piu’ indecente. (De Andre’, Un giudice)
Un esempio di ellissi (la soppressione di una o più parole che vengono lasciate sottintese)
Fiori nuovi ‘stasera esco
ho un anno di piu’
stessa strada, stessa porta. (Fiori rosa fiori di pesco, Battisti)
Jovanotti ricorre all’anafora poichè troviamo questa frase ripetuta quattro volte nel brano. E’ anche un chiasmo perche’ il significato cambia spostando di posto grande
A te che sei il mio grande amore
Ed il mio amore grande
L’anafora ( ripetizione della stessa parola in versi in successione) dunque e’ molto amata, come la iterazione
Acqua azzurra, acqua chiara (Battisti)
Ho le scarpe piene di passi
La faccia piena di schiaffi
Il cuore pieno di battiti
E gli occhi pieni di te (Jovanotti– Le tasche piene di sassi)
C’è una casetta piccola così,
con tante finestrelle colorate,
e una donnina piccola così,
con due occhi grandi per guardare,
e c’è un omino piccolo così,
che torna sempre tardi da lavorare,
e ha un cappello piccolo così,
con dentro un sogno da realizzare (Attenti al lupo, Lucio Dalla)
almeno quanto la similitudine
è solo vivere e vivere da solo
come un sasso di un torrente
che non ferma la corrente (Cuore di aliante, Baglioni)
e soprattutto l’analogia. Esempio: “Tornano in alto ad ardere le favole…”
(G. Ungaretti, Stelle, Sentimento del tempo, v.1)
Senza niente da dire
Senza tante parole
Ma con in mano un raggio di sole (Jovanotti)
e le similitudini
Se chiude gli occhi, lui lo sa, lupo di periferia/
E la luna è una palla ed il cielo è un biliardo (Anna e Marco, Lucio Dalla)
Sei chiara come un’alba
Sei fresca come l’aria (Albachiara, Vasco Rossi)
De Andrè ci offre un esempio di sinestesia (metafora nella quale vengono accostate due parole che appartengono a due sfere sensoriali diverse)
“corsi a vedere il colore del vento” (Il sogno di Maria)
Ecco un esempio di apostrofe: interrompere il normale svolgimento del discorso con un’invocazione (o anche un’invettiva)
Dio, e’ proprio tanto che piove… (C’e’ tempo, di Ivano Fossati)
Anastrofe: è una parola di origine greca che significa “inversione” e consiste appunto nell’inversione dell’ordine abituale di due termini.
domani Miché
nella terra bagnata sarà (La ballata di Miche’, De Andre’)
Asindeto (elenco di parole che non sono legate da congiunzione)
Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei (Nella mia ora di liberta’, De Andre’)
Veniamo alle iperboli
JOVANOTTI (A TE) Le forze della natura si concentrano in te
Che sei una roccia, sei una pianta, sei un uragano
Sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano
PENSO POSITIVO Io credo che a questo mondo
Esista solo una grande chiesa
Che passa da Che Guevara
E arriva fino a Madre Teresa
Passando da Malcolm X attraverso
Gandhi e San Patrignano
Arriva da un prete in periferia
Che va avanti nonostante il vaticano
Paoli descrive l’amore sempre nello stesso modo, appunto solo con iperboli:
Senza fine
Senza fine
Tu trascini la nostra vita
Senza un attimo di respiro
Senza fine, tu sei un attimo senza fine
Non hai ieri e non hai domani
Tutto è ormai nelle tue mani
Mani grandi
Mani senza fine
(Il cielo in una stanza)
Quando sei qui con me
Questa stanza non ha più pareti
Ma alberi, alberi infiniti
Quando sei qui vicino a me
Questo soffitto viola
No, non esiste più
Io vedo il cielo sopra noi
Vasco Rossi usa l’adynaton (in greco significa cosa impossibile), figura retorica che sottolinea l’impossibilita’ che succeda una cosa
Ed è proprio quello che non si potrebbe che vorrei
ed è sempre quello che non si farebbe che farei
ed è come quello che non si direbbe che direi
quando dico che non è così il mondo che vorrei (Il mondo che vorrei)
cosi’ come Lucio Dalla, un vero maniaco…
È la sera dei cani che parlano tra di loro/
della luna che sta per cadere (La sera dei miracoli)
Prendi il cielo con le mani/ vola in alto più degli aeroplani/ Ferma con quelle tue mani il treno Palermo-Francoforte (Balla balla ballerino)
Vorrei entrare dentro i fili di una radio
E volare sopra i tetti delle città (Le rondini)
Vasco e’ il maestro dell’anafora: (Dante: Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente), della iterazione e della dilogia (artificio retorico che consiste nella ripetizione di una o piu’ parole ai fini di una maggiore incisivita’)
Voglio trovare un senso a questa sera
Anche se questa sera un senso non ce l’ha
Voglio trovare un senso a questa vita
Anche se questa vita un senso non ce l’ha
Voglio trovare un senso a questa storia
Anche se questa storia un senso non ce l’ha
Voglio trovare un senso a questa voglia
Anche se questa voglia un senso non ce l’ha (Un senso)
…della sospensione (lasciare sospeso il discorso) e della reticenza (discorso senza conclusione)
Forse davvero non è stato poi tutto sbagliato
Forse era giusto così
Forse, ma forse, ma sì
Cosa vuoi che ti dica io?
Senti che bel rumore (Sally)
I cantautori non possono fare a meno dell’epifonema (da una parola greca che significa “esclamare”, e’ la frase enfatica che conclude un discorso in modo sentenzioso o, appunto, retorico)
Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,
ogni Cristo scenderà dalla croce
anche gli uccelli faranno ritorno. (L’anno che verra’, Lucio Dalla)
Canzone cercala se puoi
dille che non mi perda mai
va’ per le strade e tra la gente
diglielo veramente (Canzone, Lucio Dalla)
Si può sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po’ da vivere… (Povera patria, Franco Battiato)
perché domani sia migliore, perché domani tu
strada facendo vedrai (Strada facendo, Baglioni)
Ora e qui ci andrà forse meglio, sì, in un’altra vita
allora un dì e per sempre ci ritroveremo lì
in un’altra vita, in un’altra vita. (In un’altra vita, Baglioni)
Qui si può solo perdere…
….e alla fine non si perde neanche più (Il mondo che vorrei, Vasco Rossi)
E’ un giorno che tutta la gente/ Si tende la mano (C’e’ tempo, Ivano Fossati)
I cantautori sono accumulatori di perifrasi (giro di parole, circonlocuzione per dire con parole diverse qualcosa che potrebbe essere detta in modo più breve)
E ho respirato un mare sconosciuto nelle ore
larghe e vuote di un’estate di città
accanto alla mia ombra nuda di malinconia (Strada facendo, Baglioni)
Baglioni utilizza l’asindeto, una forma di coordinazione tra frasi o tra vari elementi di una frase senza uso di congiunzioni
Qui l’ombra cade giù dalla tua mano
Un orizzonte di cani abbaia da lontano
Tu aggrappata alla ringhiera
Di una tenera e distratta primavera
Battiato il polisindeto ( il contrario dell’asindeto, cioè una sequenza di frasi coordinate da una stessa congiunzione)
e come sembra tutto disumano
e certi capi allora e oggi
e certe masse
quanti fantasmi ci attraversano la strada. (Giubbe rosse)
Jovanotti predilige i paradossi
Sorridendo ti verrà da piangere (Le canzoni)
cosi’ come Baglioni
Ci separammo un po’ come ci unimmo (Mille giorni di me e di te)
E giovane e invecchiato mi son detto tu vedrai vedrai
vedrai (Strada facendo)
Infine: le metafore poetiche (accostamenti di parole per improvvisare immagini non realistiche)
BAGLIONI
strada facendo troverai
anche tu un gancio in mezzo al cielo
e sentirai la strada far battere il tuo cuore
vedrai più amore vedrai
SABATO POMERIGGIO Ma cosa è stato di un amore
Che asciugava il mare
CON TUTTO L’AMORE CHE POSSO noi due inciampammo contro un bacio
POSTER e un bambino che si tuffa dentro a un bignè.
MILLE GIORNI DI TE E DI ME solo che andavamo via di schiena
incontro a chi
DALLA (BALLA BALLA BALLERINO) Balla su una tavola tra due montagne
e se balli sulle onde del mare io ti vengo a guardare.
Balla il mistero di questo mondo che brucia in fretta
quello che ieri era vero, dammi retta, non sarà vero domani.
Ferma con quelle tue mani il treno Palermo-Francoforte
LA SERA DEI MIRACOLI Si muove la città con le piazze e i giardini e la gente nei bar galleggia e se ne va, anche senza corrente camminerà
ma questa sera vola, le sue vele sulle case sono mille lenzuola.
TELEFONAMI TRA 20 ANNI impara il numero a memoria
poi riscrivilo sulla pelle
se telefoni tra vent’anni
butta i numeri fra le stelle
alle porte dell’universo
un telefono suona ogni sera
sotto un cielo di tutte le stelle
di un’inquietante primavera
o l’allusione (riferimento piu’ o meno velato)
TU NON MI BASTI MAI vorrei essere l’uccello che accarezzerai
e dalle tue mani non volerei mai.
DISPERATO EROTICO STOMP Ho fatto le mie scale tre alla volta,
mi son steso sul divano,
ho chiuso un poco gli occhi,
e con dolcezza è partita la mia mano
e l’ironia /e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò/ e a quelli che hanno niente da dire/ del tempo ne rimane/ anche i preti potranno sposarsi
ma soltanto a una certa età (L’anno che verra’, Lucio Dalla)
Il fatto è che la vera poesia con le canzonette ha poco da mischiarsi, tranne in rarissimi casi. Per esempio Bob Dylan, al quale non a caso hanno dato il Nobel per la letteratura, al rock ha portato la parola. “Quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo?”. “Dylan non ha predecessori ne successori, Dylan è venuto da Marte”, ha scritto Edmondo Berselli.
Tra gli italiani, per me, i migliori restano De Gregori e Guccini, i peggiori i liceali Fossati e Vecchioni. Tra i parolieri Bardotti, Pallavicini e Calabresi, Paolo Conte fuori concorso perchè musicista e non poeta da liceo, De Andrè purtroppo troppo condizionato dall’Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters.
I TESTI ORRIBILI CON LA CARTA COPIATIVA E LE METACANZONI
Sono i testi-elenchi che cominciano con “Dedicato a…” (Loreadana Bertè) o “Benvenuto a…” (Laura Pausini) oppure tutti quelli che autocitano la canzone (“questa canzone è per te che sei…” “questa canzone la dedico a te…” “mentre un disco suonava la nostra canzone”). Il prototipo inimitabile resta Ma il cielo è sempre più blu, la canzone-simbolo di tutta la produzione di Rino Gaetano. Uscì nel 1975 e non comparve inizialmente in un album, trovando collocazione per la prima volta solo nella raccolta Gianna e le altre…, uscita nel 1990.
Vi è racchiusa tutta la filosofia dell’artista crotonese. Nelle strofe elenca una serie di ingiustizie, inframezzandole con battute piene di nonsense e sarcasmo, mentre nel ritornello alza il tono della voce e le note per esprimere una vena di ottimismo, visto che davanti a tutto questo il cielo continua ad essere sempre più blu.
La regione Calabria se fosse una cosa seria avrebbe dovuto farne l’inno almeno dal 1990.